03 | 09 | 2020

Rivista della Guardia di Finanza

3 - 2020

Antiriciclaggio e valute virtuali

A. Conso, R. Ferretti, P. R. Amendola

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Le valute virtuali
La qualificazione giuridica delle valute virtuali: il contesto normativo internazionale
La nozione di valuta virtuale contenuta nella disciplina antiriciclaggio italiana
La V Direttiva Antiriciclaggio e le valute virtuali
La disciplina italiana degli exchanger e dei wallet provider e l’interferenza della definizione di cripto-attività ipotizzata dalla Consob
La Comunicazione UIF sull’utilizzo anomalo di valute virtuali
Considerazioni conclusive

Il presente contributo affronta la complessa questione della qualificazione giuridica delle valute virtuali sulla base del contesto normativo internazionale ed in particolare della recente definizione del fenomeno dettata dalla disciplina comunitaria in materia di prevenzione delriciclaggio e finanziamento del terrorismo, nonché dalle relative disposizioni attuative italiane. Si evidenzia che detta definizione è stata concepita come generica ed al fine di estendere quanto più possibile l’ambito di applicazione della disciplina antiriciclaggio, al fine di tener conto di possibili evoluzioni, anche tecnologiche, del fenomeno e contrastare l’anonimato delle transazioni. La trattazione prosegue con un’analisi della normativa italiana dettata con riferimento agli operatori in valute virtuali e della comunicazione della UIF sull’utilizzo anomalo delle cripto-valute.

This paper addresses the complex issue of the legal qualification of virtual currencies on the basis of the international regulatory framework and in particular the recent definition of the phenomenon set forth in the EU rules on the prevention of money laundering and terrorist financing, as well as the related Italian implementingprovisions. The paper highlights that this definition has been conceived as generic and all-inclusive in order to extend as much as possible the scope of application of the anti-money laundering rules, in order to take into account possible evolutions, also technological, of the phenomenon and to prevent the anonymity of the transactions. The paper continues with an analysis of the Italian legislation governing the activity of operators in virtual currencies and the communication of the Italian FIU on the anomalous use of crypto currency.

 

1. Le valute virtuali.

Il mercato digitale rappresenta oggi uno dei maggiori punti di attenzione per la prevenzione e il controllo del rischio legato al riciclaggio dei proventi di attività criminose e al finanziamento del terrorismo.

Nel corso degli ultimi anni, la rilevanza di tale fenomeno è stata senz’altro accentuata dalla crescente diffusione delle “valute virtuali” o “criptovalute” – come più comunemente chiamate –, impiegate nel web per l’acquisto di beni e servizi, per finalità di investimento, speculative e di giuoco [1].

L’origine delle valute virtuali risale però convenzionalmente al 2008, con l’“avvento” sul web del protocollo Bitcoin [2] e con la diffusione della tecnologia Blockchain [3]. Il “manifesto” di quello che inizialmente sembrava essere un movimento anzitutto di pensiero, piuttosto che la genesi del mercato in espansione che oggi conosciamo, è rappresentato dal white paper [4], pubblicato quell’anno sotto lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, che tutt’ora viene identificato come lo sconosciuto inventore di questa tecnologia.

Con tale protocollo viene emesso anche il primo Bitcoin, archetipo delle valute virtuali ed “antagonista”, almeno nelle intenzioni del suo creatore,
delle tradizionali valute aventi corso legale (i.e. Fiat). Da quel 2008 si stima che siano state più di cinquemila le valute virtuali messe in circolazione, e la loro diffusione è da attribuire per lo più alle cc.dd. ICOs (i.e. “initial coin offering”) [5], processi di emissione di token rappresentativi delle valute virtuali, offerti in cambio di moneta Fiat o di altre valute virtuali [6]. Non è questa la sede per analizzare il “controverso” mercato delle ICOs; basti solo ricordare come le stesse siano state caratterizzate, certamente nella loro fase genetica e sino almeno a larga parte del 2017, da una sostanziale assenza di regole e di controlli, complice la diffusa convinzione tra gli emittenti che la mancanza di un quadro regolamentare specifico per tali operazioni consentisse alle stesse di “sfuggire legittimamente” all’applicazione di ogni regola sovraordinata [7].

2. La qualificazione giuridica delle valute virtuali: il contesto normativo internazionale

Se è vero che ogni valuta virtuale mostra peculiarità e meccanismi di funzionamento propri, che rendono necessaria una disamina di ciascuna nuova emissione, è possibile individuare, per quel che in questa sede maggiormente interessa e senza alcuna pretesa di esaustività, le caratteristiche comuni alla maggior parte delle valute virtuali oggi in circolazione:

  1. il loro “conio” è basato sulla tecnologia blockchain e gli emittenti sono privati;
  2. sono detenute dall’utente attraverso un conto noto come “portafoglio elettronico” (e-wallet), che può essere registrato su qualsiasi hardware locale o remoto (cloud);
  3. possono essere acquistate con valuta avente corso legale, o riconvertite nella stessa, attraverso piattaforme di scambio (c.d. exchanger), oppure ricevute da qualcuno che le possiede;
  4. i titolari dei portafogli elettronici e i soggetti coinvolti nelle transazioni sono tipicamente coperti dall’anonimato;
  5. le transazioni sono tecnicamente irreversibili.

Quanto ai soggetti che operano in questo mercato, invece, è possibile raggruppare gli attori in tre principali categorie:

  1. gli emittenti che, a seconda che il modello sia decentralizzato o centralizzato, sono rappresentati, alternativamente, dalla collettività degli utenti o da soggetti ben individuati (emittenti in senso stretto). Nel primo caso, si parla dei c.d miners, soggetti che singolarmente o in gruppo processano le transazioni in valute virtuali ricevendo, a titolo di corrispettivo, unità di moneta virtuale di nuova emissione (secondo un meccanismo intuitivamente auto-incentivante);
  2. gli utenti, ossia gli utilizzatori delle valute virtuali;
  3. il sistema di conversione, scambio e/o custodia, gestito per lo più dai c.d. exchanger, attivi sul web.

Questo descrive il fenomeno, ma non risolve la questione della qualificazione giuridica delle valute virtuali e, con essa, quella della disciplina ad esse applicabile nei diversi ordinamenti.

Questi quesiti alimentano un dibattito che, sin dalla prima apparizione del Bitcoin, occupa autorità di vigilanza, governi, dottrina e giurisprudenza di molti Paesi [8]. In proposito, innumerevoli sono stati e sono tutt’oggi i tentativi di trovare una definizione puntuale di valute virtuali [9], ma non si riscontra ancora una soluzione univoca capace di cogliere il fenomeno nella sua interezza, complice anche la vocazione sovranazionale di questo mercato, che, sviluppandosi naturalmente sul web, si muove “al di sopra” dei confini nazionali.

Premesso quanto sopra, si riportano in nota – senza alcuna ambizione di completezza – alcuni tra i più interessanti tentativi di inquadramento “organico” delle criptovalute promossi da governi ed autorità nazionali al fine di dare un ordine alla complessità ed alla frammentazione che caratterizza questa fattispecie [10].

Per quel che concerne l’Italia, merita segnalare che la Consob ha pubblicato il 2 gennaio 2020 il Rapporto finale redatto all’esito della consultazione aperta dalla medesima autorità il 19 marzo 2019 a proposito de “Le Offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività”. In tale Rapporto, la Consob chiarisce che il fenomeno delle criptovalute deve essere anzitutto analizzato alla luce della normativa esistente, tant’è che la qualificazione giuridica dei token (già in circolazione o di futura emissione) deve essere verificata seguendo la ormai condivisa ripartizione tra securitiy, payment e utility token e considerando le possibili combinazioni di queste tre tipologie (c.d. token “ibridi”) [11]. Dalla riconduzione dei token all’una o all’altra delle categorie sopra richiamate può conseguire – sempre secondo la Consob – l’applicazione agli stessi delle discipline in materia di servizi di pagamento, di raccolta del risparmio e offerte pubbliche, di crowdfunding e di servizi d’investimento.

Passando agli interventi delle autorità europee di vigilanza, si deve ricordare che lo “Advice – Initial Coin Offerings and Crypto-Assets” pubblicato dall’ESMA il 9 gennaio 2019 (ESMA50-157-1391) riporta un’utile sintesi delle discipline esistenti nei Paesi del Vecchio Continente potenzialmente applicabili alle valute virtuali [13].

3. La nozione di valuta virtuale contenuta nella disciplina antiriciclaggio italiana

Il Rapporto Annuale per il 2018 pubblicato nel maggio 2019 dalla UIF – l’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia – evidenzia un innalzamento del rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo nel settore delle valute virtuali. Vi si legge, infatti, che tra il 2017 e il 2018 le segnalazioni di operazioni sospette relative a criptovalute ricevute dalla UIF sono aumentate del centoquaranta per cento, passando da 208 a 499 [14]. Occorre inoltre considerare in una prospettiva temporale più ampia che, tra il 2013 e il 2018, sono state inoltrate alla UIF 898 segnalazioni riconducibili a impieghi sospetti di valute virtuali, di cui la metà soltanto nel 2018, come sopra accennato. La maggior parte delle predette  segnalazioni è stata trasmessa da banche e dalle Poste (95,5 per cento), oltre che da istituti di pagamento e di moneta elettronica.

Si tratta di segnalazioni prevalentemente riferite a compravendite o ad attività di trading di valute virtuali e, in particolare, di Bitcoin [15]. Certamente,sono numeri ancora molto contenuti rispetto al totale delle operazioni sospette che vengono segnalate ogni anno; ciò nondimeno non possono non attirare l’attenzione, data anche la crescita esponenziale del loro numero.

È interessante notare che già nel proprio Rapporto per il 2013 la UIF – tra le prime FIU al mondo – aveva sottolineato l’urgenza di una analisi più approfondita del fenomeno delle valute virtuali e ciò sulla base delle prime segnalazioni di operazioni sospette ricevute, inerenti ad anomale compra- vendite internazionali [16]. Ed è proprio la portata transnazionale di dette transazioni a preoccupare maggiormente, stante la libertà che il web offre alla circolazione delle valute virtuali. Che il fenomeno desti preoccupazione è confermato anche dal rapporto annuale per il 2018, pubblicato nell’agosto 2019 dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, che ha evidenziato i rischi legati ai loro possibili utilizzi illeciti a livello sia nazionale, sia, e soprattutto, internazionale [17].

La questione non può dunque essere affrontata e risolta a livello solamente nazionale, com’è dimostrato dalle ripetute prese di posizione delle autorità internazionali, le quali non si limitano più ad evidenziare i rischi legati agli investimenti in valute virtuali, ma sempre più spesso affrontano quelli inerenti al riciclaggio e al finanziamento del terrorismo [18].

Venendo a considerare il piano legislativo, si deve evidenziare che la V Direttiva Antiriciclaggio (Direttiva UE 2018/843) rappresenta una prima e importante “reazione” a livello europeo al crescere dell’allarme legato al rischio di utilizzi illeciti delle valute virtuali.

Per la prima volta in Europa, infatti, il tema delle valute virtuali viene affrontato da una fonte di rango primario al fine di “garantire un approccio più efficiente e coordinato in relazione alle indagini finanziarie in materia di terrorismo, incluse quelle relative all’uso improprio delle valute virtuali” [19].

D’altra parte, si deve evidenziare che i lavori che hanno preceduto l’emanazione della Direttiva riflettono un inquadramento del fenomeno e una percezione dei rischi che gli sono propri che si colloca in un momento antecedente rispetto all’esplosione mediatica avvenuta alla fine del 2017 (v. infra § 2); in un periodo, cioè, in cui i cripto-asset erano rappresentati dal Bitcoin e da “una manciata” di altre valute virtuali. Un numero, in ogni caso, molto lontano da quello delle criptovalute oggi in circolazione (oltre cinquemila; v. ancora infra § 2).

Quella che precede è una considerazione non solo di contesto o relativa alla cronologia, ma che pare utile a comprendere i limiti di una norma che nasce per regolare un fenomeno intuito come potenzialmente pericoloso, ma ancora inespresso e distante dal mostrare le potenzialità evolutive manifestate nell’ultimo quinquennio. Questa rapida evoluzione non sembra però sfuggire ad alcuni legislatori nazionali che, in sede di recepimento delle disposizioni comunitarie, hanno cercato di superare i limiti insiti nella definizione di “criptovaluta” contenuta nella V Direttiva Antiriciclaggio [20], sia pure nei limiti della discrezionalità loro consentita dalla Direttiva stessa.

questo il caso dell’Italia che, già con il D.Lgs. n. 90 del 25 maggio 2017 – di recepimento della IV Direttiva Antiriciclaggio (Direttiva (UE) 2015/849) – ha sentito l’urgenza di anticipare (per prima tra i Paesi dell’Unione) parte della disciplina in materia di cripto-asset contenuta della V Direttiva e di cui si è detto sopra. Più precisamente, il D.Lgs. n. 90 del 2017 ha introdotto la lett. qq) nell’art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 231 del 2007, meglio noto come Decreto Antiriciclaggio. Detta norma, definisce la valuta virtuale come una “rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’Autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.

Tale approccio è stato confermato, anche in sede di recepimento della (intera) V Direttiva Antiriciclaggio e più precisamente con il D.Lgs. n. 125 del 4 ottobre 2019, il quale ha modificato, ampliandola, la definizione sopra richiamata, la quale recita oggi come segue: “la rappresentazione digitale di valore, non emessa né garantita da una banca centrale o da un’Autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”. È evidente l’intento del Legislatore del 2019 di ampliare la portata della definizione comunitaria; intento, peraltro, espressamente dichiarato nella Relazione che accompagnava lo schema del Decreto Legislativo, la quale chiarisce che la definizione mira ad includere, sia sul piano dei soggetti obbligati all’adempimento degli obblighi antiriciclaggio, sia su quello delle fattispecie rilevanti, una casistica ampia, variegata e difficilmente codificabile.

La definizione contenuta nell’art. 1, comma 2, lett. qq), del D.Lgs. n. 231 del 2007, non include solo le valute virtuali in senso stretto, ma si estende alle diverse tipologie di cripto-asset e a tutte le diverse finalità sottostanti alla loro emissione e circolazione. Ciò considerando, il fenomeno rileva (i) sia nella sua “fisicità (virtuale)”, rappresentata dalla varietà impressionante di token in circolazione, (ii) sia nella sua “manifestazione dinamica”, ovvero nelle condotte e nelle motivazioni (tipizzate dalla norma) di quanti utilizzano, a vario titolo, detti token.

Questo tentativo comporta che nella definizione di cui trattasi possano “convivere”, solo per fare alcuni esempi, asset (in senso lato) riconducibili alle nozioni di “beni” (così come definiti nell’art. 810 c.c.), di “documenti” o “titoli di legittimazione”, di “strumenti finanziari” (come definiti dall’art. 1, comma 2, del TUF), “prodotti finanziari” (come definiti nell’art. 1, comma 1, lett. u), del TUF), di “strumenti di pagamento” (come definiti all’art. 1, comma 1, lett. s), del D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 11) e così via. Asset la cui qualificazione in diritto dipende anche dalle modalità e dalle finalità per le quali sono emessi e fatti circolare.

Tale voluta onnicomprensività della definizione si spiega tenendo presente l’obiettivo della disciplina, che è – come si è sopra accennato – quello di contrastare il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo a prescindere dagli strumenti e dalle condotte negoziali utilizzati per tali finalità illecite e tanto meno dalla loro qualificazione civilistica.

La definizione sopra riportata non aiuta invece a classificare i token e i soggetti che li emettono e ne consentono l’acquisto e lo scambio ai fini dell’applicazione delle norme che regolano le attività “riservate” (emissione e collocamento di strumenti e prodotti e strumenti finanziari, prestazione di servizio d’investimento, ecc.). Si tratta di un dibattito ancora aperto e distante dal mostrare conclusioni univoche, in particolare per le difficoltà di ricondurre i token alle fattispecie tipiche considerate dal Legislatore.

4. La V Direttiva Antiriciclaggio e le valute virtuali

Il processo legislativo che ha condotto all’emanazione della V Direttiva Antiriciclaggio è stato avviato nel dicembre 2015 anche al fine di contrastare l’emergenza terroristica scatenata dai numerosi attentati perpetrati in quel periodo, come ben evidenziato dal piano d’azione e dalla proposta di modifica della IV Direttiva presentata allora dalla la Commissione. Dopo l’acquisizione del parere del Parlamento europeo, la Commissione ha emanato una nuova proposta (COM (2016) 450 final) in più punti rivista al fine di meglio contrastare le più moderne tecniche di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo.

Pur non essendo questa la sede per un esame analitico della nuova Direttiva, si deve evidenziare che essa si propone di (i) rafforzare le attività di individuazione e prevenzione di movimenti di fondi ed altri beni, (ii) migliorare la tracciabilità dei mezzi finanziari e (iii) contrastare la capacità di raccolta di fondi finalizzati a finanziare attività illecite.

Ai fini che qui interessano, occorre ricordare che la V Direttiva Antiriciclaggio, oltre a contenere una definizione di valute virtuali, estende – come visto sopra – l’ambito di applicazione delle disposizioni antiriciclaggio al fine di ricomprendervi i prestatori di servizi di cambio tra le valute virtuali e valute aventi corso legale (c.d. exchanger) e di portafoglio digitale (c.d. wallet providers).

L’intervento del Legislatore europeo muove dal presupposto che tali soggetti, non essendo oggi tenuti ad adempiere gli obblighi antiriciclaggio, potrebbero involontariamente consentire l’uso illecito dei cripto-asset, reso più agevole dalla possibilità di operare mantenendo l’anonimato.

A questo proposito, è importante evidenziare che la stessa Direttiva evidenzia la consapevolezza del Legislatore europeo che l’inclusione dei prestatori di servizi sopra elencati nell’ambito di applicazione della stessa e, quindi, degli obblighi di adeguata verifica della clientela, non risolve il problema dell’anonimato, dal momento che gli utenti possono effettuare operazioni in cripto-asset anche senza ricorrere agli exchanger e ai wallet provider. Una soluzione per contrastare i rischi legati all’anonimato è individuata dalla Direttiva nella previsione di misure in tema di trasparenza, che consentano alle Unità nazionali di informazione finanziaria di ottenere informazioni per associare gli indirizzi IP connessi con l’utilizzo della valuta virtuale all’identità del suo proprietario.

5. La disciplina italiana degli exchanger e dei wallet provider e l’interferenza della definizione di cripto-attività ipotizzata dalla Consob

Come sopra accennato, il D.Lgs. n. 90 del 2017 di recepimento della IV Direttiva Antiriciclaggio ha anticipato la trasposizione di parte della disciplina in materia di valute virtuali contenuta nella V Direttiva e introdotto la definizione di “prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale” (oggi contenuta nell’art. 1, comma 2, lett. ff), del D.Lgs. n. 231 del 2007). Tali soggetti sono definiti come “ogni persona fisica o giuridica che fornisce a terzi, a titolo professionale, servizi funzionali all’utilizzo, allo scambio, alla conservazione di valuta virtuale e alla loro conversione da ovvero in valute aventi corso legale”, definizione che recepisce quella contenuta nelle Linee Guida del GAFI [21].

Il D.Lgs. n. 90 del 2017 ha inoltre introdotto l’obbligo per i soggetti che prestano servizi di conversione di valute virtuali in valute Fiat di iscriversi
in un registro tenuto dall’OAM – Organismo degli Agenti e dei Mediatori. Tale registro, tuttavia, non è stato ancora istituito [22].

Il D.Lgs. n. 125 del 2019, che ha recepito la V Direttiva, ha ulteriormente estenso la definizione di “prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valute virtuali” includendovi i soggetti che prestano “servizi di emissione, collocamento, trasferimento e compensazione e ogni altro servizio funzionale all’acquisizione, alla negoziazione o all’intermediazione delle valute medesime”, ossia, in particolare, gli emittenti di “token” nell’ambito di initial coin offering e tutti gli altri soggetti che, a titolo professionale, erogano servizi nel mondo delle valute virtuali. Il nuovo perimetro ha inoltre riguardato anche profili oggettivi con l’aggiunta della lett. ff-bis), relativa ai c.d. wallet providers, definiti quali soggetti che forniscono, a titolo personale, “servizi di salvaguardia di chiavi crittografiche private per conto dei propri clienti, al fine di detenere, memorizzare e trasferire valute virtuali”.

Ancora più importante è, tuttavia, la sopra richiamata estensione della definizione di valuta virtuale (art. 1, comma 2, lett. qq), del D.Lgs. n. 231 del 2007), alla quale è stato aggiunto l’inciso finale “o per finalità d’investimento”. Tale estensione è, infatti, idonea ad attrarre nella nozione di valuta virtuale anche token assimilabili ai prodotti finanziari e le c.d. cripto-attività, così come definite nel Documento per la discussione emanato dalla Consob nel marzo 2019 e di cui si è detto sopra. In tale documento, infatti, la Consob ha ipotizzato una definizione di “cripto-attività” che ne coglie la natura di registrazioni digitali potenzialmente rappresentative di diritti connessi ad investimenti in progetti imprenditoriali, create, conservate e trasferite mediante tecnologie basate su registri distribuiti (DLT) e idonee a consentire l’identificazione del titolare dei diritti relativi agli investimenti sottostanti ad esse incorporati. La definizione dovrebbe ricomprendere soltanto le cripto-attività che sono destinate a essere negoziate o sono negoziate all’interno di uno o più sistemi di scambi.

È evidente come questa definizione si discosti in modo significativo da quella di “valuta virtuale” prevista dalla disciplina antiriciclaggio – e di cui si è detto sopra – e che tale differenza faccia sorgere l’esigenza di un coordinamento tra le due nozioni. In particolare, pare indispensabile chiarire se le “cripto-attività” ipotizzate dalla Consob dovranno considerarsi alla stregua di un sotto-insieme delle “valute virtuali” ovvero se le stesse andranno ad integrare una fattispecie nuova e distinta, e ciò al fine di garantire agli operatori del mercato linee di confine per quanto possibile chiare, che permettano di sviluppare e prestare i propri servizi senza incorrere nel rischio di violare le norme che disciplinano le attività riservate o quelle antiriciclaggio.

In questa prospettiva, si deve inoltre evidenziare che, per effetto dell’ampliamento della definizione di “valute virtuali” attuato dal D.Lgs. n. 125 del 2019,sono sottoposti agli obblighi antiriciclaggio praticamente tutti i soggetti operanti nel settore delle valute virtuali con riferimento a tutte le possibili tipologie di token e di operazioni ad essi relative.

Questa scelta del Legislatore italiano è stata da taluni considerata inopportuna [23], se non addirittura idonea a sollevare profili di incostituzionalità del Decreto per eccesso di delega, dato che la nozione di valuta virtuale introdotta dal D.Lgs. n. 125 del 2019 sarebbe sostanzialmente diversa da quella prevista dalla V Direttiva Antiriciclaggio e il Legislatore delegato non aveva ricevuto dal Parlamento il mandato di ampliare tale nozione. Gli stessi commentatori hanno evidenziato che la locuzione “come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento” introdotta nella definizione italiana non sarebbe coerente con quella “ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio” contenuta nella V Direttiva che, non indagando le finalità dello scambio, imporrebbe di considerare unicamente quest’ultimo nella sua realtà fattuale.

Ad avviso di chi scrive, queste critiche non meritano di essere condivise. Infatti, il nostro Legislatore ha opportunamente ritenuto di adottare un approccio omnicomprensivo, consapevole dell’impossibilità di tracciare confini precisi ad un fenomeno dai contorni particolarmente incerti e in rapidissima evoluzione e della necessità di evitare il rischio che alcune tipologie di cripto-attività (esistenti o di futura creazione) fossero sottratte ai controlli antiriciclaggio. L’estensione della nozione di valuta virtuale risulta, poi, in linea con l’impostazione della Autorità europea, come risulta, tra gli altri, dall’Advice dell’ESMA citato nel precedente par. 1 e con le finalità perseguite dalla Direttiva. Il Considerando 8 di quest’ultima ricorda, infatti, che è “di fondamentale importanza ampliare l’ambito di applicazione della Direttiva UE 2015/849 in modo da includere i prestatori di servizi la cui attività consiste nella fornitura di servizi di cambio tra valute virtuali e valute legali e i prestatori di servizi di portafoglio digitale. Ai fini dell’antiriciclaggio e del contrasto del finanziamento del terrorismo (AML/CFT), le autorità competenti dovrebbero essere in grado di monitorare, attraverso i soggetti obbligati, l’uso delle valute virtuali”.

Non si può comunque escludere che la questione sia portata all’attenzione dei giudici nazionali e della Corte di Giustizia dell’Unione europea.

6. La Comunicazione UIF sull’utilizzo anomalo di valute virtuali
Come visto sopra, la rischiosità delle valute virtuali è stata più volte messa in luce dai leader del G20, dagli organismi internazionali e dalle autorità europee, suscitando anche l’attenzione della UIF, la quale ha così pubblicato in data 28 maggio 2019 una comunicazione finalizzata a richiamare l’attenzione dei soggetti obbligati sul loro utilizzo anomalo, richiamando le indicazioni del GAFI, recentemente intervenuto in materia. In particolare, con la predetta Comunicazione, la UIF ha descritto alcune condotte anomale individuate sulla base dell’analisi delle segnalazioni di operazioni sospette in precedenza ricevute. Tra tali condotte merita in questa sede richiamare la costituzione anomala della provvista impiegata per acquistare virtual asset, con particolare riferimento alle ricariche di carte prepagate, accrediti di bonifici italiani o esteri, ripetuti versamenti in contanti di ammontare rilevante. In tali casi i soggetti obbligati dovranno valutare se la costituzione della provvista possa essere messa in relazione con fenomeni criminali caratterizzati dall’utilizzo di tecnologie informatiche (ad esempio, phishing, ransomware, clonazione di carte di credito) o ad attività commerciali non dichiarate, eventualmente svolte on line. Altrettanto anomalo dev’essere considerato l’utilizzo di virtual asset in operazioni speculative, immobiliari o societarie, che appaia finalizzato ad accrescere l’opacità delle operazioni stesse e, in generale, qualsiasi utilizzo che appaia illogico o incoerente rispetto al profilo del cliente o alla natura e allo scopo del rapporto.

La UIF ha inoltre invitato i soggetti obbligati a prestare particolare attenzione all’utilizzo di virtual asset nei casi in cui possano sospettarsi casi di abusivismo o di violazioni delle discipline in materia di: (i) offerta al pubblico di prodotti finanziari, qualora siano promessi rendimenti periodici collegati all’operatività in virtual asset; (ii) prestazione di servizi di investimento, laddove agli investitori sia offerta la possibilità di effettuare “operazioni regolate per differenza aventi come sottostante (anche) valute virtuali”. Al fine di individuare le situazioni sospette, è necessario valutare le caratteristiche dei soggetti a vario titolo coinvolti nell’operatività in virtual asset e verificare l’eventuale presenza degli indici di rischio indicati dalla stessa UIF e, più precisamente, 1) collegamenti, diretti o indiretti, con soggetti sottoposti a procedimenti penali o a misure di prevenzione ovvero con persone politicamente esposte o con soggetti censiti nelle liste delle persone o degli enti coinvolti nel finanziamento del terrorismo; 2) soggetti con residenza, cittadinanza o sede in Paesi terzi ad alto rischio ovvero in una zona o in un territorio notoriamente considerato a rischio, in ragione anche dell’elevato grado di infiltrazione criminale; 3) soggetti operanti in aree di conflitto o in Paesi che notoriamente finanziano o sostengono attività terroristiche o nei quali operano organizzazioni terroristiche, ovvero in zone limitrofe o di transito rispetto alle predette aree; 4) strutture proprietarie artificiosamente complesse od opache; 5) soci e/o esponenti apparentemente privi delle competenze tecniche che tipicamente il settore richiede.

In termini più generali, la UIF evidenzia che è sempre necessario svolgere un’analisi in concreto e una valutazione complessiva dell’operatività e che le informazioni a ciò necessarie devono essere rese prontamente disponibili all’intera organizzazione aziendale, anche se questa è articolata su più unità o dislocata in diversi Paesi. Nella Comunicazione viene infine sottolineato che i soggetti destinatari degli obblighi antiriciclaggio sono tenuti a sensibilizzare il personale e i collaboratori incaricati della valutazione delle operazioni, diffondendo opportune istruzioni.

A margine di quanto precede, si deve segnalare che, affinché le indicazioni dell’UIF possano produrre l’effetto desiderato, è necessario che gli operatori del settore e, in particolare, i cambiavalute virtuali e i prestatori di servizi di portafoglio digitale possano riferirsi ad un quadro normativo compiuto, con regole e obblighi definiti. In questa prospettiva, è essenziale che il MEF emani in tempi rapidi le disposizioni attuative del D.Lgs. n. 231 del 2007 che gli sono state delegate.

7. Comunicazioni conclusive

Le suesposte considerazioni dimostrano, ad avviso di chi scrive, che il quadro normativo nazionale in materia di prevenzione del riciclaggio e del
finanziamento del terrorismo nelsettore dei cripto-asset è ancora incompleto, mancando ancora il regolamento ministeriale di cui si è detto sopra (atteso dal 2017), il quale dovrebbe consentire di individuare con maggior precisione i soggetti che operano nel settore delle criptovalute tenuti alla applicazione della disciplina in questione. L’istituzione del registro dei cambiavalute virtuali consentirebbe, inoltre, di dare uno status giuridico definito agli operatori professionali del settore,semplificando probabilmente anche il loro dialogo con il ceto bancario, ora comprensibilmente diffidente nei loro confronti.

Per altro verso, la definizione generica ed onnicomprensiva di criptovaluta, fatta propria dal Legislatore italiano, risponde, come visto sopra, alle finalità individuate dagli interventi del GAFI e dalla Direttiva stessa e ha lo scopo di rendere la disciplina antiriciclaggio più pervasiva ed efficace, combattendo l’anonimato delle transazioni.

D’altro canto, si deve formulare l’auspicio che la regolamentazione secondaria di competenza del MEF e delle autorità di vigilanza di settore chiarisca meglio la nozione di valuta virtuale e, con essa, l’ambito oggettivo di applicazione della disciplina antiriciclaggio. Parimenti importante pare poi, ad avviso di chi scrive, armonizzare le nozioni di cripto-asset e valute virtuali con quelle di prodotti e strumenti finanziari e disciplinare l’accesso all’attività degli exchanger e dei custodian wallet e il suo esercizio.

[1] A livello europeo tale fenomeno è stato analizzato dalla European Securities and Markets Authority (ESMA), con l’“Advice” Initial Coin Offerings and Crypto-Assets del 9 gennaio 2019 (ESMA50-157-1391), e dalla European Banking Authority (EBA), con il Report with advice for the European Commission on crypto-assets del 9 gennaio 2019. Mediante le menzionate analisi, le autorità europee hanno identificato due aree d’attenzione relative a: (i) le criptovalute qualificabili come strumenti finanziari ai fini dell’applicazione della disciplina europea in materia di servizi di investimento; e (ii) quando questi asset non si qualificano come strumenti finanziari e l’assenza di un quadro regolamentare lascia gli investitori esposti a rischi. Nell’Advice si afferma inoltre che la disciplina antiriciclaggio dovrebbe applicarsi a tutti i cripto-asset e a tutte le attività ad essi relative e che dovrebbe essere assicurata un’adeguata informazione sui relativi rischi a beneficio degli investitori.

[2] Nello specifico si tratta della creazione di un sistema monetario elettronico che sfrutta la rete peer-to-peer (p2p), ossia una rete paritaria in cui ogni terminale è client e server (elaboratore e controllore) che al tempo stesso utilizza la tecnologia dei registri condivisi (DLT), ossia la c.d. “Blockchain”.

[3] La tecnologia Blockchain (letteralmente, “catena di blocchi”) è una struttura dati condivisa e immutabile. Essa può essere definita come un registro digitale le cui voci sono raggruppate in blocchi, concatenati in ordine cronologico, e la cui integrità è garantita dall’uso della crittografia. Sebbene la sua dimensione sia destinata a crescere nel tempo, è immutabile in quanto, di norma, il suo contenuto, una volta scritto, non è più modificabile né eliminabile.

[4] Detto white paper è stato pubblicato in data 31 ottobre 2008 con il titolo “Bitcoin: A Peer-to-Peer Electronic Cash System” ed è disponibile al seguente link: https://bitcoin.org/bit-coin.pdf.

[5] Il fenomeno delle ICOs trova il suo culmine nel biennio 2017/2018, sospinto dall’euforia che accompagnò il rialzo del Bitcoin, passato in pochi mesi da ottomila a ventimila dollari. Con riferimento al mese di febbraio 2020, il Bitcoin oscilla intorno ai diecimila dollari, ben lontano dai valori del dicembre 2018.

[6] L’ordinario “ciclo di vita” di una ICO – nella forma più ricorrente riscontrata sul mercato – riproduce, con alcune spiccate peculiarità le fasi del processo di finanziamento diretto di una realtà imprenditoriale innovativa di piccole dimensioni e (usualmente) in fase di lancio alla ricerca di investitori: creazione di un progetto innovativo da sviluppare e finanziare; redazione e pubblicazione (sul web) di un documento informativo non standardizzato relativo a emittente, progetto e coin/token (c.d. “white paper”); utilizzo della blockchain per le fasi di coinvolgimento degli investitori (su mercato primario e, ove previsto, secondario).

[7] Tale ultima convinzione si è però ben presto dimostrata poco più di una “suggestione”, con conseguenze anche disastrose talvolta in termini sanzionatori per i promotori di talune ICOs. Basti in questa sede richiamare la Relazione Consob per l’anno 2018, pubblicata in data 31 marzo 2019, la quale evidenzia che nel corso dell’anno di riferimento sono stati svolti 276 accertamenti relativi a fenomeni abusivi realizzati via Internet. Nella grande maggioranza dei casi l’operatività dei soggetti abusivi celava vere e proprie truffe, che la Consob segnala regolarmente all’Autorità giudiziaria. Per quanto riguarda l’oggetto dell’attività abusiva, orbene, la Relazione parla di ben 22 casi di condotte abusive riferite a criptovalute.

[8] Cfr. risoluzione n. 72/E dell’Agenzia delle Entrate e TAR del Lazio, sent. pubblicata il 27 gennaio 2020. n. 01077/2019.

[9] In questo senso si veda S. CAPACCIOLI, Criptovalute e Bitcoin: un analisi giuridica,Milano, 2015, pp. 6-7, secondo il quale le criptovalute non cadono in un vuoto giudico, applicandosi ad esse le normali regole giuridiche. L’Autore contesta anche la possibilità di introdurre una Legge speciale per i Bitcoin, attesa la natura “anarchica, decentralizzata e polimorfa di questa nuova tecnologia informatica, nata per esistere senza una regolamentazione specifica”.

[10] Tra i primi merita ricordare il caso della Svizzera, dove nel 2017 l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (la “Finma”) ha pubblicato una guida pratica per la gestione delle richieste di assoggettamento, relative alle ICOs sulla base del diritto dei mercati finanziari vigente. Nel documento, la Finma definisce le informazioni minime necessarie per il trattamento di tali richieste, ciò allo scopo di creare trasparenza per i partecipanti al mercato interessati. Nel 2018 Malta, tra i primi Paesi della Comunità europea, ha tentato di regolamentare il mercato delle ICOs con una normativa ad hoc, compatibile con il quadro regolamentare in materia di sollecitazione al pubblico risparmio. Il menzionato corpus normativo, approvato nel 2018, è composto da tre leggi: la prima Legge, chiamata “Malta Digital Innovation Authority Act” (MDIA), è il regolamento che istituisce un nuovo ente regolatorio – il Malta Digital Innovation Authority – il cui compito sarà quello di autorizzare e vigilare tutti gli attori coinvolti nella conservazione e nello scambio di crypto-assets e nel processo di blockchain; la seconda norma, chiamata “Innovative Technology Arrangements and Services Act” (ITAS), prevede l’istituzione di un albo per la regolamentazione di nuove figure professionali come il Technology Service Provider e il Certificatore di Piattaforme di DLT (Distributed Ledger Technologies); la terza norma, infine, è la “Virtual Financial Assets Act” (VFA) e riguarda la regolamentazione dei crypto-assets e dei servizi legati alla blockchain, soprattutto dal punto di vista finanziario. Queste leggi non coprono ovviamente tutti gli aspetti delle innovazioni che gradualmente verranno apportate con la blockchain e le criptovalute, ma hanno certamente il merito di delineare un chiaro quadro legislativo entro e non oltre il quale chi emette ICOs e chi intende occuparsi della gestione di questi assets potrà operare senza andare incontro a rischi operativi e societari. Ma gli esempi sono moltissimi, alcuni dei quali – nel quadro della regolamentazione EU – di rilevante interesse anche per le ricadute che potranno avere sul piano della regolamentazione comunitaria; si pensi anzitutto alla Francia con la Legge 2019-486 del 22 maggio 2019 (nota come “Legge PACTE”), che ha introdotto un regime regolamentare facoltativo per le ICOs e per i provider di servizi di crypto-asset. In relazione a detto provvedimento, recentemente, l’Autorità di Vigilanza dei mercati finanziari francese, l’Autorité des marchés financiers (AMF), ha pubblicato,sul suo sito web, importanti informazioni di dettaglio sulle procedure per l’adozione di tale regime da parte degli operatori del mercato crypto. Parimenti si è mossa la Germania, che con una nuovissima Legge sulle criptovalute ha inserito la definizione dettata a livello nazionale dalla Legge di implementazione della V Direttiva Antiriciclaggio – che ricalca la definizione dettata in Italia – nel Kreditwesengesetz, KWG, il Testo Unico bancario della Repubblica Federale di Germania, qualificando tutti gli strumenti del mercato cripto come strumenti finanziari.

[11] O addirittura di “token mutanti”, ovvero che possono modificare la loro natura, per effetto dell’utilizzo che se ne fa, passando da una categoria all’altra. Si pensi ancora una volta al caso dei Bitcoin: nato per essere una moneta; cresciuti come strumenti di investimento alla ricerca di valore; un “domani” forse nuovamente moneta.

[12] Cfr. Appendix 5: Overview of national regimes for crypto-assets, p. 48.

[13] In tale ambito non sono mancati e anzi sono sempre più numerosi gli interventi della dottrina. Da un punto di vista definitorio, in particolare, pare opportuno ricostruire – a mero titolo illustrativo e senza alcuna pretesa di esaustività – i più interessanti e recenti orientamenti in materia, incentrando l’attenzione al raffronto tra le valute virtuali, in particolare del tipo Bitcoin, gli strumenti finanziari e la più ampia categoria dei prodotti finanziari. Inizialmente la dottrina era stata orientata ad un approccio cosiddetto “bottom-up”, che tentava di qualificare le valute virtuali guardando esclusivamente alle loro caratteristiche intrinseche. Il menzionato approccio, ancorché estremamente interessante, risulta poco soddisfacente o, comunque, destinato ad essere superato dallo sviluppo e dalla proliferazione di piattaforme di “cripto-trading”. Volgendo l’attenzione all’andamento del dibattito oggi in essere, la qualificazione del fenomenoin esame è invece sostenuta dalla combinazione del suddetto approccio, con un approccio cosiddetto “top-down”, e ciò sulla base della considerazione che le categorie e la normativa esistente possa concretamente essere utilizzata come strumento di regolamentazione del mercato cripto. A livello europeo, si è assistito ad un tentativo di regolamentazione quando la Commissione ha approvato norme armonizzate sul crowdfunding per un approccio cross-border. La prima bozza comprendeva le ICOs, ma in quella poi approvata, i riferimenti alle criptovalute sono stati eliminati, il che evidenzia la difficoltà di far avanzare l’Unione europea su una questione politica che, pur apparendo semplice e avendo comunque molto senso, non riesce a trovare ancora una visione condivisa rimanendo, così, per ora, appannaggio dei singoli Paesi. Il più grosso ostacolo ad una regolamentazione virtuosa del mondo delle valute virtuali e della blockchain è che le norme esistenti non sono state progettate tenendo conto di questi strumenti, essendo tale fenomeno completamente sfuggito al Legislatore europeo in quanto si tratta di un mondo che, agli albori della regolamentazione europea del mercato dei capitali, risultava assolutamente sconosciuto e in parte ancora inesistente. Ne consegue che le autorità nazionali competenti affrontano sfide nell’interpretazione dei requisiti esistenti e alcuni requisiti non sono adeguati alle caratteristiche delle criptovalute, con la conseguenza che una serie di fenomeni non rientrano nell’attuale quadro normativo finanziario. Ciò comporta notevoli rischi per gli investitori che hanno una protezione limitata o nulla quando investono in tali strumenti. In tal senso si veda, F. ANNUNZIATA, Speak, if you can: what are you? An alternative approach to the qualification of tokens and initial coin offerings, Bocconi Legal Studies Research Paper No. 2636561, 2019.

[14] Cfr. “Criptovalute, operazioni sospette cresciute del centoquaranta per cento in un solo anno” di R. GALULLO – A. MINCUZZI, in Il Sole 24 Ore del 29 giugno 2019. Il trend ha registrato un progressivo incremento nel tempo: nel 2013 le SOS relative a cripto valute sono state appena due, nel 2014 tre, nel 2015 sono salite a cinquantadue e nel 2016 hanno toccato quota 124.

[15] Tali segnalazioni si riferiscono principalmente alle modalità sospette di costituzione della provvista impiegata per l’acquisto delle valute virtuali o alla connessione dell’operatività con attività illecite, quali truffe e frodi informatiche. Anche l’Europol, l’agenzia per la lotta al crimine della Ue ha sottolineato i pericoli legati alle transazioni con le criptovalute affermando,nel proprio rapporto per il 2018, che “i riciclatori di denaro si sono evoluti e utilizzano le criptovalute nelle loro operazioni e sono sempre più facilitati da nuovi sviluppi come gli scambidecentrati che consentono compravendite senza alcuna necessità di conoscere il cliente”.

[16] Cfr. Unità di Informazioni Finanziaria della Banca d’Italia, Rapporto Annuale 2013, n. 6, maggio 2014, p. 34. Secondo l’UIF il valore in particolare dei Bitcoin è estremamente volatile ed espone gli utilizzatori a significativi rischi di speculazione. Inoltre, non vi sarebbero garanzie o forme di controllo che tutelino i clienti o le società che gestiscono i Bitcoin. Si aggiunge che le operazioni in Bitcoin, pur registrate in appositi database consultabili in rete, non consentono di identificare i soggetti intervenuti nelle transazioni, facilitando così lo scambio di fondi in forma anonima e l’utilizzo di tale strumento di pagamento nel contesto dell’economica illegale. Secondo l’UIF, poi, nel corso del 2014 sono pervenute alcune segnalazioni di operazioni sospette relative ad acquisti o vendite di valute virtuali, ritenute“opache” in ragione del profilo soggettivo del cliente, della natura delle controparti spesso estere, ovvero delle modalità di realizzazione delle operazioni tramite, ad esempio, l’utilizzo di contante o di carte di pagamento.

[17] La Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo rileva, in particolare, che il rischio sistemico principale è quello di assistere, de facto, alla creazione nel web di un paradiso finanziario virtuale e aggiunge che il Bitcoin risulta la prima valuta virtuale per pagamenti realizzati sul “darknet”, ovvero per il commercio illegale. La Direzione evidenzia inoltre il massiccio utilizzo delle criptovalute da parte di organizzazioni criminali, anche di matrice mafiosa, per ripulire somme consistenti di proventi illeciti. Secondo la Direzione, infine, i rischi riguardano anche gli utenti, stante il regime di anonimato che connota le transazioni e la conseguente difficoltà di identificazione delle controparti contrattuali.

[18] Tra i vari interventi che si sono registrati a livello internazionale, meritano senz’altro menzione quelli del GAFI/FATF – Gruppo d’Azione Finanziaria o Financial Action Task Force. Nell’ottobre 2018 il FATF ha apportato modifiche alle proprie Raccomandazioni per chiarire che le stesse si applicano anche alle attività finanziare che coinvolgono virtual asset. La Raccomandazione 15, in particolare, richiede che i prestatori di servizi relativi ai virtual asset (così come definiti dalle Raccomandazioni stesse) siano regolamentati per finalità di lotta al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo, soggetti a licenza o registrazione e a sistemi efficaci di monitoraggio o vigilanza. In seguito e, più precisamente, nel giugno 2019, il FATF ha emanato una nota interpretativa alla Raccomandazione 15 per chiarire le modalità di applicazione dell’approccio basato sul rischio alle operazioni aventi come oggetto i virtual asset e alle attività dei relativi prestatori diservizi; la vigilanza o il monitoraggio dei prestatori di servizi per finalità antiriciclaggio, il regime di licenza o registrazione, le misure preventive quali (tra le altre cose) l’adeguata verifica del cliente, gli obblighi di conservazione e la segnalazione in materia di operazioni sospette, le sanzioni e altre misure applicative, nonché la cooperazione internazionale. Sempre nel giugno 2019 il FATF ha adottato le Linee Guida concernenti l’applicazione dell’approccio basato sul rischio ai virtual asset: lo scopo di dette Linee Guida è quello di aiutare (i) le autorità nazionali a comprendere e sviluppare risposte alle attività concernenti i virtual asset tanto a livello normativo quanto a livello di vigilanza; e (ii) i soggetti privati che intendono avviare attività concernenti i virtual asset a comprendere i propri obblighi in materia di antiriciclaggio e le modalità con cui adempiere efficacemente a tali obblighi.

[19] Cfr. Considerando (16) della Direttiva 2018/843.

[20] È valuta virtuale la “rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente”. È importante evidenziare che questa definizione è stata preceduta da quella fornita dal Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale, secondo la quale, la valuta virtuale è “a digital representation of value that can be digitally traded, ortransferred, and can be used for payment
or investment purposes. This includes the technologies referred to in G20 as «crypto-assets» and those referred to as «virtual currencies» in some national legislation”.

[21] Nel documento Linee guida per un approccio ai virtual asset e ai prestatori di servizi in materia di virtual asset basato sul rischio, i “prestatori di servizi in materia di virtual asset” sono definiti come: “qualsiasi persona fisica o giuridica che, su base professionale, conduce una o più delle seguenti attività o operazioni in nome o per conto di un’altra persona fisica o giuridica: i) cambio tra virtual asset e valute fiat; ii) cambio tra una o più forme di virtual asset; iii) trasferimento di virtual asset; iv) custodia e/o amministrazione di virtual asset o di strumentiche consentono di avere controllo sui virtual asset; e v) partecipazione e fornitura di servizi finanziari correlati all’offerta e/o alla vendita di un virtual asset di un emittente”.

[22] Uno schema del Decreto Ministeriale di attuazione del registro indicato nel testo è stato messo in consultazione dal Ministero dell’economia e delle finanze, ma non è stato poi emanato.

[23] In particolare, tale impostazione (cfr. il sito web e Network COINLEX, al seguente link:  ttps://www.coinlex.it/2019/04/25/osservazioni-di-coinlex-alla-consultazione-pubblica-sullo-schema-di-decreto-v-aml/) ha rilevato alcuni profili di incostituzionalità del D.Lgs. n. 125 del 2019 – per eccesso di delega del Legislatore nazionale – stante la circostanza che la nozione di valuta virtuale dallo stesso introdotta sarebbe sostanzialmente diversa da quella della V Direttiva Antiriciclaggio, ove si rinviene anche la fondamentale precisazione per cui la valuta virtuale “non possiede lo status giuridico di valuta o moneta”. Il testo del Decreto di attuazione, quindi, dovrebbe per tale profilo essere opportunamente integrato, inserendo il medesimo passaggio anche nella definizione interna. Parimenti, tali commentatori ritengono che la precisazione introdotta nella definizione interna, “come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento”, collida con la definizione propria della V Direttiva Antiriciclaggio la quale, mediante l’inciso “ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio”, non indaga le finalità soggettive, imponendo l’osservazione al dato oggettivo e fattuale del trasferimento.

l'Autore

gli Autori

Avv. Andrea Conso

Avv. Andrea Conso