Il documento posto in consultazione sulla disciplina delle Initial Coin Offerings (ICOs) e degli scambi delle cc.dd. “cripto-attività” (comunemente “token”) pubblicato dalla Consob in data 19 marzo 2019 formula interessanti proposte, per addivenire ad una disciplina del fenomeno, tenendo conto dei suggerimenti degli esperti e degli operatori del mercato su tematiche particolarmente complesse in ambito FinTech.
L’idea del crowdfunding quale naturale alveo in cui favorire uno sviluppo “ordinato” del fenomeno ICOs permea tutto il Documento. Un approccio non dissimile è adottato dal legislatore europeo. Consob sembra convergere sull’idea che una efficace implementazione della disciplina del crowdfunding – soprattutto con riferimento al secondario – potrebbe contribuire allo sviluppo di quel mercato, fungendo anche da volano per lo sviluppo di nuovi modelli di business in ambito di criptoattività e blockchain. Tale scelta sarebbe inoltre coerente con gli scopi delle recenti modifiche alla disciplina del crowdfunding con le quali il legislatore italiano ha deciso di consentire, in via generale, a tutte le piccole e medie imprese di accedere a questo canale di raccolta di capitale (Legge di Bilancio 2017).
In tale solco, si inserisce la scelta di favorire l’innovazione tecnologica apportata dalla blockchain e dai token permettendo ai c.d. “exchange” di testare il loro business attraverso un meccanismo di opt-in.
Nonostante l’impostazione generale del Documento sia da valutarsi favorevolmente, permangono alcune questioni problematiche.
Su di un piano generale, le proposte della Consob andranno coordinate con la disciplina europea e con quella domestica, in materia di strumenti finanziari e prodotti finanziari. Questi ultimi, infatti, sono soggetti a regole molto strutturate (MiFID; prospetto informativo, ecc.), e là dove sia qualificabile alla stregua dell’uno, o dell’altro, andrà meglio chiarito se, ed in quale misura, le regole attuali dovranno o potranno applicarsi.
Al riguardo è utile osservare come la definizione di “cripto-attività”, porti comunque a superare un diffuso equivoco, ovvero che tutto ciò che circola nel mondo della blockchain sia una “criptovaluta”: definizione fin qui utilizzata indistintamente per identificare token o beni molto differenti tra di loro, spesso completamente privi di alcuna vocazione valutaria.
Tornando alla consultazione, sebbene, al momento, il modello più diffuso di exchange sia quello centralizzato, l’Autorità – in un’ottica di neutralità tecnologica e per coerenza con l’impostazione di fondo del Documento – farebbe bene a considerare anche quelli decentralizzati. Peraltro, la stessa qualificazione di “cripto-asset” potrebbe cambiare in funzione della sua negoziabilità su di una piattaforma multilaterale di scambi, stante le definizioni attualmente rinvenibili in ambito europeo di “valori mobiliari” e di “strumenti finanziari”. Infine, qualche dubbio sembra sollevare la previsione per la quale i sistemi di scambio dovrebbero dotarsi di “regole e procedure idonee per l’accesso e l’identificazione dei partecipanti in modo tale da rendere inutilizzabili tecnologie basate su registri distribuiti nella forma c.d. permissionless”. L’opportunità di tale scelta è opinabile sia da un punto di vista tecnologico che commerciale. Dal primo punto di vista, è bene sottolineare che le blockchain permissionless permettono solo un pseudoanonimato e che il mercato sta sviluppando smart contracts che identificano i soggetti acquirenti in tutte le le fasi di scambio. Dal secondo punto di vista, costituendo le blockchain permissionless quasi la totalità delle blockchain presenti sul mercato, una restrizione di questo tipo potrebbe compromettere la finalità di costituire un attivo mercato secondario di criptoattività.