Riserva di attività (Titolo I, Capitolo II, Sezione II)
I. In via preliminare, al paragrafo 1 del Titolo I, Capitolo II, Sezione II del Regolamento, “Ambito di applicazione della riserva”, codesta spettabile Banca d’Italia evidenzia che “[i]l servizio di gestione collettiva del risparmio è svolto con carattere di professionalità ed è, pertanto, organizzato per essere esercitato nei confronti di una platea indeterminata di soggetti in modo sistematico e non meramente occasionale”.
Al riguardo si chiede di chiarire il contenuto della locuzione “platea indeterminata di soggetti” e se la stessa, in mancanza di precisi riferimenti normativi, possa essere inquadrata applicando, in via interpretativa, la nozione di pubblico elaborata sulla base dell’art. 18 TUF in materia di servizi di investimento. Si chiede inoltre di chiarire il coordinamento di tale requisito con l’elemento della “pluralità degli investitori” che si rinviene nella nozione di OICR.
II. Proseguendo nell’analisi del paragrafo 1, si legge che “[l]a gestione collettiva del risparmio si caratterizza, in particolare, per la sussistenza di tre elementi tra loro strettamente connessi: i) la gestione di un patrimonio; ii) la gestione dei rischi di tale patrimonio; iii) il carattere collettivo dell’attività, caratterizzata dalla gestione di OICR”. I primi due elementi della fattispecie richiamano espressamente le componenti qualificanti che si rinvengono nella definizione di “gestione collettiva del risparmio” di cui all’art. 1, comma 1, lett. n), TUF. Il terzo punto si rifà, invece, agli elementi qualificanti della nozione di OICR ricavabile dalla definizione offerta all’art. 1, comma 1, lett. k), TUF [1].
Il Regolamento evidenzia, quindi, i tratti caratteristici ed essenziali dell’attività di gestione collettiva del risparmio; proprio dall’analisi di tali indicazioni si rinvengono, tra di esse, taluni elementi che concorrono a tracciare un perimetro più nitido della riserva. Ci si riferisce, in particolare, (i) al rendimento per gli investitori; (ii) alla strategia/scopo imprenditoriale, commerciale o industriale; (iii) alla politica di investimento predeterminata.
In relazione al primo punto si chiede, in via preliminare, di chiarire se la caratteristica essenziale del “rendimento” corrisponde alla nozione di rendimento aggregato stabilito dagli Orientamenti ESMA [2]. In caso affermativo, si chiede di specificarne il relativo contenuto, posto che la formulazione dell’ESMA appare non chiarissima nella sua portata distintiva: “il rendimento generato dal rischio condiviso che deriva dall’acquisto, dalla detenzione o dalla vendita di beni di investimento – comprese le attività finalizzate a ottimizzare o aumentare il valore di tali beni – a prescindere dal fatto che siano previsti rendimenti differenziati per gli investitori, quali quelli assicurati da una politica di dividendi personalizzati”. Il riferimento al rendimento generato dal rischio condiviso, tratteggiato dall’ESMA, sembrerebbe, infatti, doversi intendere come rendimento finanziario, ossia rendimento perseguito attraverso una gestione improntata sul principio della diversificazione del rischio, piuttosto che al rischio che caratterizza la partecipazione al capitale di rischio delle società e lo scopo lucrativo ad esse sotteso.
Passando al secondo punto, il Regolamento stabilisce che “il patrimonio dell’OICR non può essere utilizzato per perseguire una strategia di tipo imprenditoriale, sia essa commerciale o industriale ovvero una combinazione delle stesse”. Al riguardo si chiede chiarire cosa debba intendersi per strategia imprenditoriale. La dottrina giuscommercialista intende il carattere dell’imprenditorialità in termini di organizzazione, professionalità e, in particolare, economicità dello scopo.
Qualsiasi forma di impresa, esercitata in forma societaria, presenta questi caratteri, che dunque sembrerebbero dotati di bassa capacità distintiva. Più chiari appaiono i contorni degli elementi della strategia commerciale o industriale, anche in virtù delle precisazioni che si rinvengono negli Orientamenti ESMA. Questi ultimi stabiliscono che per scopo commerciale o industriale debba intendersi “il perseguimento di una strategia imprenditoriale caratterizzata da elementi quali lo svolgimento in modo prevalente di:
i) un’attività commerciale, che comprenda l’acquisto, la vendita e/o lo scambio di beni e
merci e/o la fornitura di servizi non finanziari, o
ii) un’attività industriale, che comprenda la produzione di beni o la costruzione di
proprietà, oppure
iii) una combinazione delle due attività summenzionate”.
Tuttavia, si chiede di chiarire cosa debba intendersi per “beni e merci e/o la fornitura di servizi non finanziari”, posto che, ad esempio, sulla base della definizione offerta dall’ESMA, un’attività di compravendita diretta di beni immobili o, più in generale, di opere d’arte o altri beni di lusso – asset class core di alcuni fondi alternativi – potrebbero non rientrare nella suddetta categoria.
Con riferimento all’ultimo punto, si chiede di specificare la differenza tra la “generica business strategy prevista nello statuto dell’impresa” e la politica di investimento. Al riguardo si osserva come i fondi di private equity, e ancora più marcatamente i fondi opportunistici, possano prevedere delle politiche di investimento molto generiche che difettano della maggior parte degli elementi segnaletici della presenza di una vera e propria politica di investimento. Si chiede pertanto di chiarire cosa debba intendersi per business strategy o se essa si ricavi per differenza dalla nozione di politica di investimento sulla base della mancanza di uno, o della prevalenza, degli elementi individuati dagli Orientamenti ESMA e riproposti dal Regolamento.
III. In aggiunta, con riguardo ai soggetti già operanti alla data di recepimento della Direttiva AIFM, si chiede di precisare la portata del regime transitorio, relativamente alla sussistenza dei vari elementi che connotano la nozione di OICR. Alla scadenza del periodo transitorio, infatti, alcuni soggetti potrebbero:
(i) aver esaurito la fase di raccolta di risparmio tra il pubblico, e/o (ii) trovarsi in una fase di mera gestione del periodo di disinvestimento degli assets. Si chiede pertanto di precisare se tali soggetti debbano inoltrare la domanda di autorizzazione prevista dalla legge.
2. Prestazione transfrontaliera di servizi da parte di SGR italiane sottosoglia (Titolo VI, Capitolo II).
Si chiede di chiarire se sia preclusa a un gestore sotto-soglia la possibilità di esercitare all’estero i servizi e le attività per cui è autorizzato in Italia.
Il Titolo VI, Capitolo II del Regolamento, nello stabilire le regole applicabili alle SGR italiane che intendano esercitare in altri Stati UE e non UE i servizi e le attività per cui risultano essere autorizzate in Italia, non prevede alcuna disposizione ovvero procedura specifica per i gestori sotto-soglia.
La mancanza di indicazioni specifiche al riguardo, potrebbe sottendere ad una sostanziale assimilazione dei gestori sotto-soglia a quelli sopra-soglia ai fini dell’attivazione delle procedure prodromiche all’esercizio all’estero dei propri servizi. D’altra parte, la scelta adottata dal legislatore italiano è stata quella di
sottoporre al regime di autorizzazione (e non di semplice registrazione, come invece previsto a livello comunitario) anche i gestori sotto-soglia sottoponendo gli stessi agli obblighi e ai divieti previsti dalla Direttiva AIFM.
Tale interpretazione sembrerebbe peraltro essere sostenuta dalla portata delle definizioni contenute nel Titolo VI, Capitolo II del Regolamento che, nel riferirsi genericamente alle “SGR”, parrebbero ricomprendere anche le SGR sotto-soglia. Di contro, l’art. 41, comma 3, TUF rimanda alla competenza regolamentare di codesta Banca d’Italia il compito di disciplinare “le condizioni e le procedure in base alle quali le SGR sono autorizzate dalla Banca d’Italia, d’intesa con la Consob, per operare in via transfrontaliera negli Stati UE e non UE nei casi esclusi dall’ambito di applicazione delle direttive 2009/65/CE e 2011/61/UE”, quasi a voler confermare l’esigenza di prevedere una procedura ad hoc per le SGR escluse dall’ambito di applicazione della Direttiva ai sensi dell’art. 3 (i.e. gestori sottosoglia).
3. Operatività transfrontaliera dei gestori UE – Attività esercitabili (Titolo VI, Capitolo IV).
Si chiede di chiarire se un gestore autorizzato nel proprio stato membro di origine ad esercitare, in aggiunta al servizio di gestione collettiva, uno o più servizi di investimento, possa prestare in via transfrontaliera tali servizi e, in caso affermativo, se la relativa procedura sia quella prevista dal Titolo VI, Capitolo IV del Regolamento.
Il Titolo VI, Capitolo IV del Regolamento definisce, infatti, le regole applicabili ai gestori UE che intendano esercitare in Italia le attività e i servizi per i quali sono autorizzati nello stato membro di origine. In tale ambito, nel dare attuazione a quanto previsto dall’art. 41-ter del TUF, il Titolo VI, Capitolo IV del Regolamento ha previsto che un gestore UE possa esercitare in via transfrontaliera le attività previste dalle Direttive UCITS e AIFM che, includono, inter alias, i servizi di investimento previsti dalle lett. d) e f) dell’art. 1, comma 5, del TUF e dall’art. 33, comma 2, lett. g) del TUF.
Il dubbio sorge dall’interpretazione letterale dell’art. 41-ter, primo comma, TUF che, nello stabilire che “[..]. i GEFIA UE possono svolgere l’attività di gestione collettiva del risparmio per la quale sono autorizzati ai sensi delle disposizione UE nel territorio della Repubblica […]”, parrebbe riferirsi alla sola attività di gestione collettiva.
Al contrario, le disposizioni contenute nel Regolamento sarebbero coerenti con quanto auspicato dall’ESMA nell’ambito del Q&A n. 714/2014, in merito all’opportunità di anticipare l’estensione del passaporto europeo ai servizi MiFID previsti dalla Direttiva AIFM rispetto alla data di entrata in vigore della Direttiva 2014/65/EU (MiFID II).
4. Operatività transfrontaliera dei gestori UE – Gestione di un FIA italiano (Titolo VI, Capitolo IV).
Il Titolo VI, Capitolo IV, paragrafo 4 del Regolamento nel dare attuazione alle disposizioni contenute nell’art. 41-ter, comma 2, TUF, disciplina la procedura di comunicazione che un GEFIA UE deve instaurare nei confronti di codesta Banca d’Italia per poter essere ammesso alla gestione di un FIA italiano.
Al riguardo, oltre ad evidenziare l’opportunità di modificare i riferimenti contenuti nel paragrafo 4.1, 5° capoverso, 3° alinea, si chiede di fornire specifiche indicazioni in merito alle tempistiche entro le quali codesta Banca d’Italia sia tenuta ad effettuare le verifiche previste dal paragrafo 4.1, 5° capoverso, nel caso in cui il GEFIA UE intenda gestire un FIA italiano riservato (non trovando in tal caso applicazione le disposizioni previste nel paragrafo 4.1, 4° capoverso).
5. Depositario di OICR e Fondi Pensione (Titolo VIII)
I. Il Titolo VIII, Capitolo I, Sezione II, paragrafo 1 del Regolamento, nello stabilire che il depositario “ha un assetto organizzativo idoneo a garantire l’efficiente e corretto adempimento dei compiti a essa affidati, avute anche presenti le caratteristiche dei portafogli degli OICR per i quali intende svolgere la funzione di depositario” (punto 7) e che, in particolare, “per lo svolgimento dei controlli in merito alla correttezza del calcolo del valore delle parti dell’OICR da parte della SGR, della SICAV o SICAF, il depositario si avvale di strutture e procedure adeguate per la determinazione del pricing di strumenti finanziari non quotati ovvero caratterizzati da elevata complessità nonché dei beni immobili” (sottopunto iv), alla nota n. 4, chiarisce che “per i beni immobili il depositario riscontra la congruità dei valori e delle procedure di valutazione utilizzate anche dall’esperto indipendente (cfr. Titolo V, Capitolo IV, par. 4 e Comunicazione congiunta della Banca d’Italia e della Consob del 29 luglio 2010 in materia di processo di valutazione dei beni immobili dei fondi comuni di investimento)”.
Si osserva l’opportunità di meglio chiarire il contenuto di quanto precisato nella nota testé richiamata, in particolare nella parte in cui viene richiesto al depositario di verificare “la congruità dei valori” dei beni immobili di pertinenza del patrimonio in gestione. In mancanza di una più chiara declinazione del significato e della finalità di tale attività di verifica, così come – in termini più strettamente operativi – del perimetro e della profondità del controllo richiesto, il generico riferimento alla “verifica di congruità” rischierebbe di gravare il depositario di obblighi e attività ultronei rispetto a quelli che sono richiesti a detti soggetti in forza della disciplina comunitaria.
Per quanto di possibile utilità alla riflessione proposta, pare utile osservare che tra le disposizioni di cui al Regolamento Delegato della Commissione n. 231/2013 non sembra potersi rinvenire un obbligo di verifica (di congruità) della specie richiamata dal Regolamento. Il riferimento corre, tra gli altri, all’art.
94, 95 e al considerando n. 108, ove sono declinati i compiti del depositario avuto riguardo alla verifica dei valori degli assets di pertinenza di ciascun FIA.
II. Il Titolo VIII, Capitolo I, Sezione III, “Funzioni di depositario di fondi pensione”, richiama, tra le altre (i.e. Sezione II e V), anche la Sezione IV dello stesso Capitolo, con ciò di fatto estendendo anche ai depositari di fondi pensione la disciplina inerente “l’autorizzazione ad assumere l’incarico di calcolare il valore delle quote” per detti fondi.
Tale “richiamo” non sembra tuttavia compatibile con le previsioni di cui all’art. 7 del D.Lgs. n. 252/05, come da ultimo modificato dal D.Lgs. 44/2014, da leggersi alla luce delle disposizioni di cui all’art. 48 TUF, come modificato dallo stesso D.Lgs. 44/2014. Il citato art. 7 prevede che al depositario delle risorse dei fondi pensione “si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni relative ai depositari degli OICR diversi dagli OICVM di cui agli articoli 47, 48 e 49 del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, e relativa normativa di attuazione”.
L’art. 48, comma 3, lett. b), TUF dispone però che nel solo caso degli OICVM italiani, su incarico del gestore, il depositario possa provvedere esso stesso al calcolo del valore delle parti di detti OICVM. Il tenore letterale delle disposizioni testé richiamate e il loro combinato disposto rendono opportuno un chiarimento riguardo la finalità e la concreta portata pratica del richiamo alla Sezione IV contenuto nel Titolo VIII, Capitolo I, Sezione III, “Funzioni di depositario di fondi pensione”, qui in commento.
III. Al Titolo VIII, Capitolo III, Sezione II del Regolamento si legge che “[…] [l]a liquidità non può essere utilizzata dai soggetti presso i quali è depositata, nell’interesse proprio o di terzi. […]”
Si ritiene opportuno che la finalità e la concreta portata pratica di tale disposizione vengano meglio circostanziate. Nel suo tenore letterale, il testo della norma in commento sembra infatti porsi in contrasto con le disposizioni di cui all’art. 21 della Direttiva AIMF e con le previsioni del Regolamento delegato della Commissione n. 231/2013. In particolare, si osserva che, in tale ambito, non pare potersi ritrovare alcun espresso e omologo divieto nel senso riportato dalla disposizione in esame. Non pare peraltro che tale limitazione possa essere ricondotta (neppure) al divieto di c.d. “riutilizzo” dei beni di un OICR (FIA o UCITS), che l’art. 21, paragrafo 10 della Direttiva AIFM circoscrive infatti ai soli beni/attività identificati nello stesso art. 21, al paragrafo 8, tra i quali non è ricompresa la “liquidità”.
Inoltre, con riferimento alle ipotesi in cui la liquidità venga depositata in conti accesi presso banche e/o succursali di banche, il divieto parrebbe in contrasto con le disposizioni di cui all’art. 1834 cod. civ., il quale, come noto, stabilisce che “nei depositi di una somma di denaro presso una banca, questa ne acquista la proprietà ed è obbligata a restituirla nella stessa specie monetaria, alla scadenza del termine convenuto
ovvero a richiesta del depositante, con l’osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle
parti o dagli usi”.
[1] L’art. 1, lett. k) del TUF definisce OICR l’“organismo il cui patrimonio è raccolto tra una pluralità di investitori mediante l’emissione e l’offerta di azioni o quote, gestito in monte nell’interesse degli investitori e in autonomia dai medesimi nonché investito in strumenti finanziari, crediti, partecipazioni e altri beni mobili e immobili in base a una politica d’investimento predeterminata”.
[2] Ciò tenuto conto del riferimento espresso a tali Orientamenti, riportato tra le fonti normative di cui al paragrafo 2.