1. Soggetti abilitati (art. 3 dello Schema di decreto)
I.1 Con riferimento al disposto dell’art. 3 (“Soggetti obbligati”), si rileva come la lettera h) del secondo comma, nel tenere conto delle novità apportate in materia di gestione collettiva del risparmio dal d.lgs. 44/2014, include tra le categorie di soggetti cui si applica lo Schema di decreto, “le società di investimento a capitale fisso, mobiliare e immobiliare, come definite dall’articolo 1, comma 1, lettera i-bis) TUF (SICAF)”.
Come noto, in base al quadro normativo e regolamentare italiano rinnovato a seguito del recepimento della Direttiva 2011/61/UE (“AIFM”), lo schema di investimento “SICAF” può configurarsi alternativamente come “autogestito” ovvero come “etero-gestito”. Nel secondo modello, a differenza di quanto accade nel primo, la complessiva attività di investimento/disinvestimento, nonché quella di ricerca e di instaurazione dei rapporti con la clientela, è incardinata non in capo alla stessa SICAF, bensì ad un gestore esterno; ossia una società di gestione del risparmio che svolge la propria attività di gestione collettiva a valere anche sul patrimonio della SICAF.
Nel caso della SICAF “gestita internamente”, la stessa è allo stesso tempo soggetto “gestore” e soggetto “gestito”. Diversamente il modello della gestione esterna prevede che la SICAF rappresenti essenzialmente un ente che, per quanto munito di una propria autonoma e separata personalità giuridica, ex lege non ha alcuna autonomia in merito all’attività gestoria a valere sul proprio patrimonio nonché, generalmente, alle iniziative poste in essere per il marketing delle proprie azioni. In tale struttura la SICAF ricopre dunque un ruolo “passivo”, contrapposto a quello “attivo” di competenza del gestore esterno.
Tale impianto si accompagna ad una rilevante diversificazione degli oneri e degli obblighi organizzativi in capo alle SICAF, a seconda appunto della diversa configurazione del modello come autogestito ovvero etero-gestito. In tale ambito si pensi alla circostanza, di particolare rilevanza ai fini della presente analisi, che nel modello organizzativo della SICAF etero-gestita può essere non espressamente prevista l’istituzione delle unità aziendali tipicamente preposte all’espletamento delle attività antiriciclaggio, rappresentando ciò di fatto una prerogativa del gestore esterno.
Tuttavia, come osservato, l’art. 3, comma 2, lettera h), si limita a fare riferimento in via generica alla categoria delle SICAF, senza operare alcuna distinzione tra modelli autogestiti ed etero-gestiti. Sulla base perciò di quanto sopra riportato, si richiede di specificare che tra i soggetti obbligati ex art. 3 cit. rientrano esclusivamente le SICAF che gestiscono direttamente i propri patrimoni, con conseguente (almeno implicita) esclusione delle SICAF etero-gestite.
I.2 Sempre con riferimento al perimetro soggettivo dell’ambito di applicazione dello Schema di decreto, si rileva come a differenza del regime previgente – in cui la categoria degli intermediari finanziari destinatari della disciplina comprendeva, tra gli altri, anche le succursali insediate in Italia di banche, SIM, IMEL, IP, SGR, ecc. – il comma 2, lett. u) individui quali soggetti obbligati “gli intermediari bancari e finanziari e le imprese assicurative aventi sede legale e amministrazione centrale in un altro Stato membro, stabiliti senza succursale sul territorio della Repubblica italiana”. Al riguardo si osserva che:
(i) la Direttiva non contempla la facoltà per gli Stati membri di sottoporre alle regole in materia antiriciclaggio anche gli intermediari finanziari che operano senza stabilimento di una succursale. Dal combinato disposto di cui agli artt. 2, comma 1 e 3, comma 1, nn. 1) e 2) della Direttiva, si ricava che soltanto le succursali situate nell’Unione di intermediari finanziari (imprese di investimento, imprese di assicurazione, intermediari assicurativi, banche, ecc.) ricadono nell’ambito applicativo della relativa disciplina;
(ii) l’utilizzo della locuzione “stabiliti senza succursale” contenuta nell’art. 3, comma 2, lett. u), potrebbe ingenerare confusione circa la reale portata applicativa della norma dal punto di vista soggettivo, soprattutto per gli operatori del mercato che, pur operando senza stabilimento di succursali, operano in Italia avvalendosi di agenti collegati stabiliti.
Infatti, anche tali “operatori”, che agiscono sul mercato nazionale secondo un modello operativo che si qualifica, a tutti gli effetti, come libera prestazione dei servizi, nel nostro ordinamento sono destinatari delle medesime regole di comportamento perviste per le succursali.
Vi è, dunque, quanto ad applicazione di tali regole, una parziale parificazione tra soggetti operanti con stabilimento e soggetti operanti senza stabilimento.
Alla luce di quanto precede, sembra legittimo domandarsi se la norma in commento debba essere letta come un (ulteriore) caso di estensione agli operatori che prestano i loro servizi in libera prestazione dei servizi, delle regole (in questo caso in materia antiriciclaggio) previste per le succursali, ancorché soltanto in presenza di determinate modalità operative – i.e. operatività per il tramite di agenti collegati stabiliti -.
Diversamente ci si domanda se tutti gli intermediari che operano senza stabilimento rientrino nell’ambito di applicazione dello Schema di decreto, a prescindere dalle specifiche modalità di prestazione dei propri servizi.
In merito ai punti sopra evidenziati, si chiede di chiarire l’effettiva portata applicativa dello Schema di decreto, prediligendo (a) una impostazione maggiormente fedele al dettato della Direttiva, (b) più omogenea tra le differenti categorie di soggetti analizzate, e (c) connotata dall’utilizzo di un linguaggio più univoco.
2. Analisi e valutazione del rischio: valutazione e procedure di mitigazione del rischio (artt. 15 e 16 dello Schema di decreto)
Nell’ambito degli obblighi sanciti dall’art. 16 dello Schema di decreto con riferimento alle procedure di mitigazione del rischio di riciclaggio e di finanziamento, il comma 2 specifica che:
“entro 12 mesi dall’entrata in vigore del presente decreto, le autorità di vigilanza di settore ai sensi dell’articolo 7, comma 1, gli organismi di autoregolamentazione, ai sensi dell’articolo 11 comma 4, individuano i requisiti dimensionali e organizzativi in base ai quali i soggetti obbligati, rispettivamente vigilati e controllati adottano specifici presidi, controlli e procedure per:
1. la valutazione e gestione del rischio di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo;
2. l’introduzione di una funzione antiriciclaggio, ivi comprese, se adeguate rispetto alle dimensioni e alla natura dell’attività, la nomina di un responsabile della funzione antiriciclaggio e la previsione di una funzione di revisione indipendente per la verifica delle politiche, dei controlli e delle procedure”.
È pertanto rimesso alla competenza delle Autorità di vigilanza e degli organismi di autoregolamentazione dei soggetti obbligati, il compito di individuare i requisiti dimensionali e organizzativi in base ai quali tali soggetti debbano adottare presidi, controlli e procedure per l’introduzione, tra le altre, di una funzione di revisione indipendente per la verifica delle politiche, dei controlli e delle procedure in materia antiriciclaggio. Al riguardo, si richiede di prevedere espressamente che l’attività di tale funzione, in ossequio al principio di proporzionalità, che informa l’intero ordinamento finanziario, possa essere svolta dalla funzione di Internal Audit degli intermediari interessati. Ciò apparirebbe peraltro coerente con il richiamo implicito al principio di proporzionalità, operato dalla stessa norma nella parte in cui si precisa che la nomina del responsabile antiriciclaggio e la previsione della funzione di revisione avvengano “se adeguate rispetto alla dimensione e alla natura dell’attività”. Si ritiene, inoltre, che la funzione di Internal Audit, come disciplinata nei vari ambiti dell’ordinamento bancario, finanziario e assicurativo, soddisfi di per sé i requisiti di indipendenza previsti dalla disciplina dello Schema di decreto, e garantisca, inoltre, coerenza e compatibilità con l’oggetto e dell’attività prevista dalla normativa in esame.
3. Obblighi di adeguata verifica della clientela: modalità di adempimento (art. 17, comma 4 dello Schema di decreto)
In merito alle tempistiche che devono essere seguite dagli operatori al fine di adempiere agli obblighi in materia di adeguata verifica della clientela, l’art. 17 stabilisce che: “I soggetti obbligati adempiono alle disposizioni di cui al presente capo nei confronti dei nuovi clienti nonché dei clienti già acquisiti, rispetto ai quali l’adeguata verifica si renda opportuna in considerazione del mutato livello di rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo associato al cliente”.
Si osserva che tale previsione non risulta perfettamente allineata al disposto della Direttiva, che all’art. 14, comma 5, stabilisce che: “Gli Stati membri prescrivono che i soggetti obbligati applichino le misure di adeguata verifica della clientela non soltanto a tutti i nuovi clienti ma anche, al momento opportuno, alla clientela esistente, in funzione del rischio, compreso il caso di modifica della situazione del cliente” (n.d.r.: sottolineato aggiunto).
A ben vedere, infatti, la formulazione prevista dalla Direttiva sembra prevedere un ambito oggettivo di applicazione più ampio di quello previsto dallo Schema di decreto. Infatti, la lettera dell’art. 14, comma 5 della Direttiva sembra richiedere l’obbligo di provvedere alla adeguata verifica del “cliente già acquisito” non solamente nei casi in cui muta il livello di rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo associato al cliente (a differenza dunque di quanto pare ricavarsi dallo Schema di decreto), ma, in generale, in funzione del rischio di riciclaggio ad esso attribuito.
Alla luce di quanto sopra, si richiede di chiarire in quali circostanze i soggetti obbligati siano tenuti a procedere con l’adeguata verifica dei clienti già acquisiti, ossia solo in presenza di un mutamento del livello di rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo associato al cliente, ovvero anche in ulteriori diverse casistiche.
4. Obblighi di adeguata verifica della clientela: disposizioni applicabili nella prestazione dei servizi di pagamento ed emissione e distribuzione di moneta elettronica (art. 17, comma 6 dello Schema di decreto)
Si è consapevoli che la norma in commento trova applicazione in diversi contesti e modelli di business in uso presso gli operatori del settore. In questa sede si vuole porre l’attenzione, in particolare, sul contesto dell’operatività degli istituti di pagamento e di moneta elettronica, nella prestazione dei servizi di pagamento e in dettaglio sul servizio di pagamento di bollettini.
Per la prestazione dei servizi di pagamento, gli istituti di moneta elettronica e di pagamento possono avvalersi di agenti in attività finanziaria o nei servizi di pagamento oppure ancora dei soggetti incaricati per lo svolgimento di una mera attività di incasso, alle condizioni precisate dall’art. 12, comma 2 del d.lgs. 141/2010.
Nell’ambito del cd. servizio di pagamento di bollettini (ex art. 1, c. 1, lett. B), n. 3 “esecuzione di ordini di pagamento, incluso il trasferimento di fondi, su un conto di pagamento presso il prestatore di servizi di pagamento dell’utilizzatore o presso un altro prestatore di servizi di pagamento […]”) il modello di business diffuso prevede che l’istituto di pagamento o l’istituto di moneta elettronica presti nei confronti della clientela tale servizio previo conferimento di un mandato di mero incasso nei confronti di un esercente (un imprenditore commerciale, individuale o collettivo, non per forza con i requisiti dell’agente in attività finanziaria). In tale ipotesi, si osserva che:
(i) l’attività svolta dal soggetto incaricato non costituisce un servizio di pagamento quando a monte vi è la convenzione con l’ente fatturatore/beneficiario e come tale non sarebbe soggetta agli obblighi di adeguata verifica;
(ii) le operazioni di pagamento dei bollettini, caratterizzate in prevalenza da limitati poteri di spesa ed evidenza della titolarità, non rappresentano strumenti mediante i quali sia possibile compiere attività di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo;
(iii) lo svolgimento dell’attività di adeguata verifica risulta incompatibile con la natura del servizio di pagamento di bollettini (caratterizzata dall’istantaneità).
Tenuto conto di tutto quanto precede, si invita codesto Ministero:
(a) a valutare una modifica della disposizione in commento, e per coerenza eventualmente intervenire sul nuovo Capo V, al fine di consentire a tutti gli operatori che prestano il servizio di pagamento di bollettini di poter continuare a svolgere tali servizi senza subordinare lo svolgimento delle attività di mero incasso, svolte da parte dei soggetti incaricati, al preventivo assolvimento degli obblighi di adeguata verifica;
(b) in subordine, a meglio chiarire la portata del disposto normativo precisando che il servizio di pagamento di bollettini rientra tra le attività soggette alle misure di adeguata verifica semplificata ai sensi del novellato art. 23, c. 2, lett. b), n. 5 (i.e. “prodotti in cui i rischi di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo sono mitigati da fattori, quali limiti di spesa o trasparenza della titolarità”).
5. Misure semplificative di adeguata verifica della clientela (art. 23 dello Schema di decreto)
Le modifiche proposte dallo Schema di decreto nell’ambito delle “Misure semplificate di adeguata verifica della clientela”, contenute all’art. 23, segnano un certo scostamento dalla disciplina in vigore di cui all’art. 25 del d.lgs. 231/2007, nella misura in cui stabiliscono dei criteri generali per l’applicazione delle misure semplificate di adeguata verifica, per quanto vincolato a determinati indici, contro il numerus clausus vigente.
Infatti, la disciplina in vigore identifica situazioni tipizzate in presenza delle quali ai destinatari della norma è concessa l’esenzione dagli obblighi di adeguata verifica della clientela, fatto salvo per lo svolgimento di un’attività minimale di indagine, limitata ad accertare che il cliente e lo strumento rientrino nei casi di esenzione (art. 25, comma 4). Si tratta, segnatamente, di requisiti sia soggettivi dei clienti (art. 25, comma 1), sia oggettivi delle operazioni (art. 25, comma 6). Per quanto più specificamente ai secondi, la norma resta comunque aperta a “qualunque altro prodotto o transazione caratterizzato da un basso rischio […] che soddisfi i criteri tecnici stabiliti dalla Commissione”.
Lo Schema di decreto prevede, invece, che le misure di adeguata verifica semplificata si applichino, conformemente alla Direttiva, “in presenza di un basso rischio di riciclaggio o di finanziamento”. I soggetti obbligati valutano il “basso rischio” in funzione, fra l’altro, di un elenco di indici non esaustivo contenuto all’interno della medesima norma. Tali indici sono relativi alla “clientela”, ai “prodotti/ servizi, operazioni o canali di distribuzione” e ad aree geografiche.
A ben vedere, gli “indici di rischio” stabiliti dallo Schema di decreto ripropongono caratteristiche molto simili alle fattispecie “chiuse” previste dalla normativa vigente. I punti di maggior contatto si registrano nell’ambito degli indici di rischio relativi a “prodotti, servizi, operazioni o canali di distribuzione”: (i) stessi limiti di valore del premio di contratti di assicurazione-vita; (ii) medesime disposizioni circa le forme pensionistiche complementari; (iii) medesime disposizioni circa i regimi di previdenza o i sistemi analoghi. I profili di maggiore novità si registrano, invece, negli indici di rischio relativi alla clientela: lo Schema di decreto, infatti, a differenza della disciplina attualmente in vigore, identifica tre categorie di clienti a basso rischio, che corrispondono soltanto in parte ai soggetti individuati nell’ambito dell’art. 25, comma 1, d.lgs. 231/2007: (i) società quotate su mercati regolamentati che assicurano un’adeguata trasparenza della titolarità effettiva; (ii) pubbliche amministrazioni o imprese pubbliche; (iii) clienti che sono residenti in aree geografiche a basso rischio.
Alla luce di quanto sopra, si ritiene che la normativa vigente sia sostanzialmente coerente con quanto indicato dall’art. 15 della Direttiva e sia, perciò, già in grado di assicurare efficacemente l’identificazione dei soggetti cui si applicano gli obblighi di adeguata verifica semplificata. Il mantenimento dell’approccio adottato dal d.lgs. 231/2007 è inoltre preferibile rispetto alla novità proposta con lo Schema di decreto, poiché evita la proliferazione di casi in cui i diversi soggetti obbligati adottino approcci differenti, sulla base di valutazioni discrezionali differenti, di fronte alla medesima tipologia di cliente (ad esempio, società fiduciarie).
6. Obblighi di adeguata verifica della clientela assolti da terzi (artt. 26 e 27 dello Schema di decreto)
Lo Schema di decreto conferma la possibilità di ricorrere a terzi per l’assolvimento dell’obbligo di adeguata verifica della clientela a fronte di specifica attestazione (preventiva) rilasciata dal terzo, come attualmente in vigore ai sensi dell’art. 30, d.lgs. 231/2007.
Di contro, tuttavia, il dettato dello Schema di decreto non prevede più la possibilità di fare riferimento al bonifico quale possibile attestazione, rimettendo ad un provvedimento (da emanarsi a cura delle Autorità di Vigilanza) l’identificazione delle forme e delle modalità di attestazione idonee a considerare “l’evoluzione delle tecniche di comunicazione a distanza” (art. 27, comma 2).
A parere degli scriventi, si suggerisce di prendere in considerazione la possibilità di reintrodurre (anche già) nel dettato normativo il bonifico quale modalità di attestazione idonea, dal momento che la maggior parte degli operatori e degli intermediari che operano “a distanza” fanno affidamento proprio su tale modalità operativa.
7. Obblighi di conservazione (Titolo II, Capo II dello Schema di decreto)
In relazione agli obblighi di conservazione dei dati raccolti nell’ambito dell’attività di adeguata verifica della clientela, si rileva che lo Schema di decreto si discosta significativamente dalla normativa vigente. Infatti, lo schema non prevede espressamente l’obbligo – attualmente in vigore ai sensi dell’art. 37, d.lgs. 231/2007 – di istituire, per alcuni soggetti obbligati, un Archivio Unico Informatico (AUI) al fine di rispettare gli obblighi di registrazione posti in capo a tali soggetti (intermediari finanziari, società di revisione e altri soggetti).
Più in particolare, lo Schema di decreto, al Capo II, dispone che i soggetti obbligati debbano conservare i dati raccolti attraverso l’adeguata verifica della clientela, in formato “non modificabile”, avendo riguardo ad assicurare che la documentazione conservata permetta di ricostruire univocamente una serie di informazioni: data di instaurazione del rapporto; dati identificativi del cliente; data, importo e causale dell’operazione (art. 31). Il medesimo Capo II non prevede in alcun modo che i soggetti attualmente sottoposti all’obbligo di istituzione dell’AUI debbano, in forza dello Schema di decreto, continuare ad assolvere agli obblighi di conservazione attraverso tale specifica modalità, con equiparazione degli intermediari, società di revisione, ecc. agli altri soggetti obbligati (ad esempio, professionisti).
Alla luce di quanto sopra, gli scriventi si domandano dunque se, per i soggetti attualmente sottoposti all’obbligo di istituzione dell’AUI, la registrazione e la conservazione dei dati rinvenienti dall’attività di adeguata verifica della clientela possano essere ottemperati tramite mezzi di registrazione che, pur nel rispetto delle caratteristiche previste dallo Schema di decreto, siano contraddistinti da una flessibilità maggiore rispetto alle rigidità logiche e di scrittura tipiche dell’AUI, in tal modo uniformando la portata di tale obbligo in tutte le categorie di soggetti obbligati.
8. Obblighi di segnalazione e comunicazione degli organi di controllo (art. 46 dello Schema di decreto)
L’art. 46 dello Schema di decreto introduce uno specifico obbligo di comunicazione in capo agli organi di controllo dei soggetti obbligati, da effettuarsi nei confronti delle autorità di vigilanza di settore e alle amministrazioni e gli organismi interessati, circa i “fatti che possono integrare violazioni gravi o ripetute o sistematiche o plurime delle disposizioni”. Tale disposizione appare chiaramente modellata sullo schema degli artt. 52 TUB e 8, comma 3, TUF.
L’art. 52 TUB stabilisce infatti che “[i]l collegio sindacale informa senza indugio la Banca d’Italia di tutti gli atti o i fatti, di cui venga a conoscenza nell’esercizio dei propri compiti, che possano costituire una irregolarità nella gestione delle banche o una violazione delle norme disciplinanti l’attività bancaria”. L’art. 8, comma 3, TUF prevede che “[i]l collegio sindacale informa senza indugio la Banca d’Italia e la Consob di tutti gli atti o i fatti, di cui venga a conoscenza nell’esercizio dei propri compiti, che possano costituire un’irregolarità nella gestione ovvero una violazione delle norme che disciplinano l’attività delle Sim, delle società di gestione del risparmio, delle Sicav o delle Sicaf”.
Le due norme citate presentano un ambito oggettivo di applicazione di ampia formulazione, idoneo a ricomprendere qualsiasi atto o fatto che possa configurare una irregolarità, relativamente alla normativa dell’attività bancaria e degli intermediari finanziari.
Con riferimento a tali sintetiche considerazioni, si osserva come la norma prevista dall’art. 46 rischi di sovrapporsi, in tutto e non in parte, al sistema di segnalazione già esistente e operante in capo agli intermediari bancari e finanziari.
Il fatto che l’oggetto dell’obbligo di comunicazione ai sensi dello Schema di decreto sia rappresentato da fatti idonei a integrare violazioni, ma che si connotato per gravità, ripetitività, sistematicità, reiterazione, molteplicità potrebbe far sorgere situazioni in cui una violazione della disciplina in materia di antiriciclaggio faccia scattare la segnalazione ai sensi dell’art. 52 TUB e non invece ai sensi dello Schema di decreto in quanto sprovvista delle relative caratteristiche.
Al fine di evitare di creare un doppio binario informativo che origini dal medesimo presupposto, anche nell’ottica di favorire e semplificare gli adempimenti degli organi di controllo, si suggerisce di utilizzare una formulazione più generale, tale da favorire l’omogeneizzazione, in chiave interpretativa, dei diversi obblighi di comunicazione dovuti ai sensi della normativa del TUB, TUF e dello Schema di decreto.
9. Segnalazione delle violazioni: i sistemi di segnalazione (art. 48 dello Schema di decreto)
In merito all’art. 48, si osserva che lo stesso prevede l’adozione da parte dei soggetti obbligati di “procedure per la segnalazione al proprio interno da parte di dipendenti o di persone in posizione comparabile di violazioni, potenziali o effettive, delle disposizioni dettate in funzione di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo”.
Si tratta di una disposizione finalizzata ad introdurre, anche nell’ambito della disciplina antiriciclaggio, obblighi organizzativi e procedurali in materia di whistleblowing, analoghi a quelli recentemente introdotti nel TUF e nel TUB a seguito del recepimento della Direttiva 2013/36/EU (“CRD 4”), consistenti nella previsione di appositi canali tramite cui un dipendente, ovvero un altro soggetto interno alla società, possa compiere segnalazioni di violazioni di disposizioni ad essa applicabili, rilevate nel corso dello svolgimento della propria attività lavorativa.
Ciò detto, deve essere osservato che l’impianto previsto dal TUF e TUB, rinnovato post-CRD 4, preveda una distinzione a seconda della destinazione delle segnalazioni ad opera del whistleblower. In particolare la bipartizione prevista è tra:
(i) whistleblowing “interno”, consistente nella previsione di meccanismi e procedure interne all’ente per la segnalazione da parte del personale ad un responsabile, allo scopo individuato, di atti o fatti che possano costituire una violazione delle norme applicabili all’ente stesso (previsto dagli artt. 8-bis TUF e 52-bis TUB);
(ii) whistleblowing “esterno”, consistente nella possibilità di rendere noto alle Autorità di Vigilanza le violazioni di cui il personale interno alla società sia venuto a conoscenza (previsto dagli artt. 8-ter TUF e 52-ter TUB).
Tenuto conto del disposto dell’art. 48 dello Schema di decreto, si ricava che lo stesso introduce, in materia di antiriciclaggio, solo degli obblighi di whistleblowing c.d. interno. Si richiede dunque di valutare la possibilità di garantire un pieno allineamento con l’omologa disciplina prevista dal TUF e dal TUB.
10. Disposizioni sanzionatorie (Titolo V dello Schema di decreto)
Con riferimento alle disposizioni di cui all’art. 62 dello Schema di decreto, gli scriventi osservano che il sistema sanzionatorio previsto per gli intermediari bancari e finanziari prevede l’applicazione delle relative sanzioni ai soggetti obbligati persone giuridiche anche in funzione del fatturato (comma 1). Il comma 2 della medesima disposizione stabilisce che determinate sanzioni amministrative pecuniarie si applichino anche ai soggetti titolari di funzioni di amministrazione, direzione e controllo e al personale dell’ente che, “non assolvendo in tutto o in parte ai compiti direttamente o indirettamente correlati alla funzione o all’incarico, hanno agevolato o comunque reso possibile le violazioni di cui al comma 1 o l’inosservanza dell’ordine di cui al comma 4, lettera a) del medesimo articolo ovvero hanno inciso in modo rilevante sull’esposizione dell’ente al rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo”.
Sul punto si rileva che l’impostazione generale, che consiste nel prevedere un doppio binario sanzionatorio relativo all’ente e agli esponenti aziendali, di cui il secondo eventuale, è coerente con il nuovo regime sanzionatorio introdotto dalla CRD 4, in forza della quale sono state apportate modifiche al TUF e al TUB. Tuttavia, va evidenziato come i presupposti e le condizioni per l’applicazione delle sanzioni pecuniarie in capo agli esponenti aziendali di matrice CRD 4 divergano dal dettato dell’art. 62, comma 2 dello Schema di decreto. Al riguardo basti richiamare che gli artt. 190-bis TUF e 144-ter TUB prevedono una responsabilità degli esponenti aziendali solo ove:
(a) la condotta dell’agente ha inciso in modo rilevante sulla complessiva organizzazione o sui profili di rischio aziendali (il TUF aggiunge inoltre il caso in cui la condotta abbia provocato un grave pregiudizio per la tutela degli investitori o per l’integrità ed il corretto funzionamento del mercato);
(b) la condotta ha contribuito a determinare la mancata ottemperanza della società o dell’ente a provvedimenti specifici di natura interdittiva o limitativa adottati dalla Banca d’Italia;
(c) le violazioni riguardano obblighi imposti in materia di remunerazione e incentivazione, quando l’esponente o il personale è la parte interessata.
Tali condizioni, rispetto a quelle previste dallo Schema di decreto, appaiono connotate da maggiore oggettività. Si suggerisce, pertanto, anche nell’ottica dell’allineamento degli approcci sanzionatori e di una maggiore coerenza di sistema di allineare, ratione materiae, il comma 2 dell’art. 62 alle condizioni stabilite dagli art. 190-bis TUF e 144-ter TUB, prevedendo che le sanzioni amministrative pecuniarie si applichino anche ai soggetti titolari di funzioni di amministrazione, direzione e controllo e al personale dell’ente che, “non assolvendo in tutto o in parte ai compiti direttamente o indirettamente correlati alla funzione o all’incarico, hanno agevolato, facilitato o comunque reso possibile contribuito a determinare le violazioni di cui al comma 1 o l’inosservanza dell’ordine di cui al comma 4, lettera a) del medesimo articolo ovvero hanno inciso in modo rilevante sull’esposizione dell’ente al rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo”.