La disciplina “antiriciclaggio” è stata recentemente riformulata dal d.lgs. n. 90 del 2017, che ha pressoché completamente riscritto il d. lgs. n. 231 del 2007. Tra le tante novità introdotte ed ancora non approfondite adeguatamente, devono essere segnalati gli artt. 62 e 67, per un verso, e l’art. 69 per altro verso.
1. Le nuove complesse fattispecie dell’art. 62
L’art. 62 conferma che all’interno del Titolo Quinto del “nuovo” d.lgs. n. 231 del 2007 non vi sono solo disposizioni che si limitano a prevedere sanzioni per condotte e fatti già previsti nei Titoli precedenti del d.lgs. stesso (in questo senso v. gli art. 56, primo comma, 57, primo comma, 58, primo comma, 58 comma sesto, 59 e 60). Nell’art. 62, infatti, il legislatore stabilisce non già solo la misura di sanzioni per condotte e vicende altrove sanzionate, ma configura direttamente complesse fattispecie al ricorrere delle quali si prevede l’irrogazione di sanzioni a carico degli intermediari e dei soggetti, ossia delle persone fisiche, titolari di funzioni di amministrazione, direzione e controllo degli intermediari.
Più precisamente con il primo comma dell’art. 62 viene delineata una particolare fattispecie che si realizza in caso di “violazioni gravi ripetute o sistematiche ovvero plurime” delle disposizioni elencate nell’articolo spesso. Al ricorrere di tale autonoma fattispecie si applica una sanzione che va da un minimo di 30.000 euro ad un massimo di 5.000.000 di euro, ovvero ad una sanzione pari al 10 per cento del fatturato annuo quando tale importo percentuale è superiore a 5.000.000.
Con il secondo comma si prevede una specifica sanzione per una condotta assai articolata posta in essere dalle persone fisiche titolari di posizioni di amministrazione, direzione e controllo: costoro sono sanzionati quando non abbiano assolto alle loro funzioni in tutto o in parte ed abbiano così agevolato la commissione di “violazioni gravi ripetute o sistematiche ovvero plurime” delle disposizioni di cui al primo comma dello stesso art. 62, ovvero abbiano esposto l’ente amministrato, diretto ecc. al rischio di riciclaggio o di finanziamento al terrorismo. Questa disposizione, in buona sostanza, sanziona la mancata adozione di quei presidi organizzativi che, ad esempio, l’art. 2381 c.c. pone a carico degli amministratori. In senso assolutamente analogo sono sanzionati i componenti del collegio sindacale che, ad esempio, non abbiano provveduto a rappresentare agli amministratori la necessità di adottare i presidi organizzativi suddetti o non abbiano rilevato l’insufficienza di quelli in concreto adottati. Ed ancora sono sanzionati i dirigenti che non abbiano dato tempestiva e diligente applicazione ai piani e presidi in ipotesi adottati.
Come si può intuire anche dai brevi cenni che è possibile fare in questa sede, la disposizione impatta in modo incisivo anche sui procedimenti amministrativi e sulle ispezioni in corso, dal momento che impone un sostanziale mutamento nella filosofia delle difese degli intermediari e dei loro esponenti, che – come peraltro sarebbe stato comunque auspicabile – dovranno porre maggiore attenzione a radicare le proprie difese sulla concreta organizzazione aziendale e sul merito delle iniziative assunte dagli organi di amministrazione e controllo, con intuitivo evidente incremento della possibile complessità ed articolazione delle difese stesse.
2. Il Favor rei
Di rilevanza anche maggiore l’impatto dell’art. 69 del rinnovato d.lgs. n. 231 del 2007. In particolare, con il primo comma si introducono due importanti modifiche allo stesso impianto delle sanzioni amministrative. Fino ad ora il mutamento della legge in materia di antiriciclaggio e di sanzioni amministrative per violazione della relativa disciplina è stato dominato dal principio sancito in via generale dall’art. 11 disp. Prel. c.c. secondo il quale “la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha effetto retroattivo”. Il risultato dell’applicazione di tale norma è stato nel senso che ciascuna contestazione della legislazione antiriciclaggio è stata retta dalla normativa vigente nel tempo in cui la violazione fu commessa, senza che avesse alcuna rilevanza il fatto che leggi sopravvenute non sanzionassero più determinate condotte o le sanzionassero in misura più mite.
L’art. 69 d. lgs. n. 231 del 2007, recentemente introdotto, – come anticipato – modifica sensibilmente questo scenario, dal momento che con il suo primo comma stabilisce che “nessuno può essere sanzionato per un fatto che alla data di entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente titolo non costituisce più illecito. Per le violazioni commesse anteriormente all’entrata in vigore del presente decreto, sanzionate in via amministrativa, si applica la legge vigente all’epoca della commessa violazione se più favorevole …”.
L’elemento immediatamente rilevante è costituito dalle parole “se più favorevole”: esse significano che è necessario procedere di volta in volta alla comparazione tra “la legge vigente all’epoca della commessa violazione” ed il decreto n. 231 del 2007 così come recentemente modificato, onde stabilire quale delle due normative sia la “più favorevole” ed applicare quindi al caso di specie quest’ultima.
La disposizione non sembra porre limiti all’applicazione di questa estensione del “favor rei”, proprio del diritto penale, alle sanzioni amministrative, nel senso che tale principio sembra applicabile sia alle violazioni commesse nel vigore della legge precedente meno favorevole per le quali sia ancora in corso il procedimento sanzionatorio, sia alle violazioni commesse nel vigore della legge meno favorevole per le quali siano stati adottati provvedimenti sanzionatori, i cui giudizi di opposizione però non siano ancora coperti da giudicato. In altre parole, non sembrerebbe godere del supporto normativo il contrario orientamento (secondo taluno condiviso dal Ministero dell’Economia, ma la parola sul punto è alla Magistratura) che sembrerebbe optare per l’esclusiva applicabilità in via amministrativa del favor rei in analisi.