1. Premessa
In data 2 luglio 2018, con sentenza n.17278 del 2018, la Suprema Corte ha fornito chiare indicazioni in materia di tutela dei Dati Personali riguardo l’attività che, in alcuni casi, si cela dietro la semplice iscrizione al servizio della newsletter offerto tramite il portale della società, consistente nell’inoltro di ulteriori informazioni commerciali ( anche da parte dei terzi) gli utenti iscritti al servizio. In discussione è l’art. 23 dell’attuale Codice della Privacy; articolo che anche alla luce del Regolamento EU 679/2016 ( “ GDPR “) – più volte richiamato nella suddetta sentenza – rimane comunque di fondamentale importanza per la protezione dei dati personali.
2. Inquadramento normativo
Con il comunicato stampa del Consiglio dei Ministri n.75 del 21 marzo 2018, è stato chiarito il destino del Decreto legislativo 30 giugno 2003 n. 196 ( Codice Privacy) a seguito dell’entrata in vigore del GDPR il 25 maggio 2018. In particolare, è stato deciso di non abrogare il richiamato Codice, prevedendone piuttosto l’armonizzazione del contenuto della disciplina del GDPR. Questo breve excursus storico concorre ad inquadrare la commentata sentenza nell’ambito del framework normativo oggi esistente relativamente alla sua continuità interpretativa rispetto alla Direttiva 45/96/CE. Infatti, nell’attuale quadro normativo per la protezione dei dati personali, rappresentato dal GDPR, è prevista comunque la necessità di raccogliere uno specifico consenso al fine di svolgere e/o prestare determinati servizi principali o accessori. In questo consenso il GDPR pone l’accento sulla liceità del trattamento dei dati che deriva, tra l’altro, anche dalla raccolta del consenso “ consapevole” degli interessati e quindi a sua volta lecitamente raccolto..
3. Specificità del consenso
Il ricorso oggetto di pronuncia da parte della Corte di Cassazione evidenzia che il consenso non può essere assolutamente “ generale”, inteso come consenso unico per più finalità tra loro non affini. Diversamente il consenso deve essere “ informato” ossia diretto a far conoscere all’interessato le finalità e gli effetti di quanto accettato. Come tale, detto consenso “ non consente compressioni di alcun genere e non sopporta di essere perturbato per effetto di errore, dolo, violenza ma neppure da stratagemmi , sotterfugi, slealtà, doppiezze o malizie adottate dal titolare del trattamento”. Il consenso per essere lecito e legittimo come anche ribadito nella sentenza in narrativa deve essere prestato intendendo come “ qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica, informata ed inequivocabile dell’interessato, con la quale lo stesso manifesta il proprio assenso, mediante dichiarazione o azione positiva inequivocabile, che i dati personali che lo riguardano siano oggetto di trattamento”.
Se ne deduce, quindi, che se il consenso comporta una pluralità di effetti, va prestato in riferimento a ciascuno di essi.
La Suprema Corte abbraccia pienamente il nuovo dettato europeo, stabilendo il principio di liceità “ in tema di trattamento dei dati personali” ( cfr. anche l’attuale art.23 del Codice della Privacy) che il consenso è validamente prestato solo se espresso liberamente e specificatamente in riferimento ad un trattamento ben individuato. Pertanto, solo sulla base di un tale consenso lecitamente raccolto, il titolare potrà provvedere all’erogazione dei servizi per cui l’interessato/utente ha manifestato la propria libera volontà “ informata” al trattamento dei propri dati personali.
L’art. 7, comma 4 del GDPR stabilisce che “ nel valutare se il consenso sia stato liberamente prestato, si tiene nella massima considerazione l’eventualità tra le altre, che l’esecuzione di un contratto, compresa la prestazione di un servizio, sia condizionata alla prestazione del consenso al trattamento di dati personali non necessario all’esecuzione di tale contratto”.
Per quanto appena esposto è chiaro che il consenso oltre che libero, si pone in stretto collegamento con quello della libertà di determinazione, consentendo l’utilizzo dei dati solo ed esclusivamente per gli scopi per cui sono stati raccolti. In estrema sintesi, la limitazione che si evince dal contenuto della sentenza de quo concerne esclusivamente il divieto di utilizzo ( rectius, trattamento) dei dati personali per fornire servizi o attività ( nel caso di specie informazioni pubblicitarie) a colui che non abbia liberamente ed espressamente manifestato la volontà di riceverli, essendone informato.